giovedì 21 giugno 2012

Raici, 1992 - Recensione di Sante Rossetto - La Vita del Popolo


Sante Rossetto, recensione del libro RAICI di Camillo Pavan,
La vita del Popolo, 13 dicembre 1992

C. Pavan ripercorre attraverso i "Raici" un secolo di storia trevigiana
Le semine autunnali erano finite. La campagna era in ordine e si preparava ad affrontare l’inverno. Nelle siepi, gli alberi erano spogli. Era ormai tempo di “cavar raici”. L’humus del gustosissimo e originale lavoro di Camillo Pavan, “Raici”, è in queste poche righe di prefazione. Vi noti lo spirito di chi è cresciuto negli anni aspri del dopoguerra, intrisi di fatica, sacrifici e lavoro. I “raici” rappresentano la cultura di alcuni paesi della Bassa trevigiana e del veneziano. Leggendo il libro la parola va molto al di là del pur pregiato radicchio trevigiano. È il racconto di una vita, quella di Camillo, e di tante altre esistenze trascorse sui campi e incapaci (fortunatamente) di staccarvisi. Dove hanno lavorato, con i quali si sono immedesimati.
Pavan, noto autore di un appassionato e appassionante “Drio el Sil”, sa trasmettere il connubio con la sua terra, il suo dialetto, gli attrezzi dai nomi quasi scomparsi. C’è una civiltà atavica che balza da quelle parole (curar raici, mesóra, crívoa, strope mèsteghe, corbe), da quegli eponimi che indicavano una persona, ma più ancora un’atmosfera, come Bepi Sestèr, al secolo Giuseppe Pinarel, o Romeo Seghéta. Una civiltà legata alla terra, alle stagioni, che dettavano il “tempo” della vita. Così veniva il tempo di “cavar raici”.
Oggi il “raicio” è il radicchio di Treviso, emblema e gloria della capitale della Marca. Pavan ne ripercorre la storia, la tecnica di coltivazione, la preparazione, la commercializzazione.
Che fosse un prodotto pregiato lo dimostra non soltanto quell’epiteto “fiore” che ormai il radicchio si porta dietro, ma l’interesse suscitato già dal secolo scorso. Tanto che nel 1900, un giovedì 20 dicembre, sotto la loggia dei Trecento, si organizzò la prima mostra con 56 espositori. Da allora i contadini gareggiano nel presentare i migliori prodotti e succedere nell’albo d’oro ad Antonio De Pieri detto Fascio, che vinse la prima rassegna.
Pavan ci illustra quindi i metodi di lavorazione, il trasporto al mercato con il carretto tirato a spalle. Ma dove Camillo Pavan si sente uomo della Bassa trevigiana, di Dosson, è nell’affasciante racconto di Angelo Schiavato, che ripercorre le vicende di una famiglia di fittavoli a cavallo della seconda guerra mondiale (pp. 77-81). È il mondo rurale che ritorna alla memoria, la piccola imprenditorialità contadina che sa imporsi anche nei momenti più difficili. Pavan ci reintroduce negli anni della ricostruzione postbellica, quando dalla terra doveva venire tutto, quasi una riproposta di fisiocratismo oggi tramontata.
Sante Rossetto
La Vita del Popolo, Settimanale della diocesi di Treviso, 13 dicembre 1992



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