venerdì 28 settembre 2012

Paolo Deotto, 2005 - Recensione "In fuga dai tedeschi", di C. Pavan



Recensione su Storia in Network
Numero 104 - Giugno 2005


IL LIBRO IN PRIMO PIANO - "In fuga dai tedeschi" racconta la tragedia
vissuta da veneti e friulani dopo lo sfondamento delle linee italiane a Caporetto
IL MARTIRIO DEI CIVILI TRAVOLTI
DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE
di PAOLO DEOTTO
"Era una catastrofe.un mondo che si rovescia, una cosa che non si riesce a spiegare. Ho visto un finimondo, tutto fuoco, un mondo di fuoco in lontananza, molto largo, incredibile. Tutta l'Italia scappava, scappavano i feriti, gli ammalati, con carreggi e senza carreggi. Non c'era ordine, era un disordine enorme, come delle mosche che si gettano fuori, così. Era un finimondo, non si può parlare di ordine, di carabinieri, di polizia."
(testimonianza di Luigi Disastri, operaio militarizzato)
". nella ritirata, quando gli italiani sono scappati, quando li hanno mandati, sì, quando hanno dovuto andare sul Piave, quella sera lì. avevano grandi magazzini di munizioni e hanno fatto scoppiare tutte le munizioni. Il cielo era tutto una fiamma, tutto una fiamma, pareva che scoppiasse il mondo; tutto il cielo era un grande fuoco."
(testimonianza di Maria Cantarut, di Brazzano di Cormons)
Il cielo stesso era di fuoco: era il finimondo . Era la rotta di Caporetto, un nome che riassume in sé stesso il concetto di catastrofe, di evento terribile. E torna a parlarcene Camillo Pavan, lo storico, già noto ai nostri lettori (sui numeri 51 e 61 di Storia in Network presentavamo le sue precedenti opere), che ha dato al nostro disattento Paese un'opera importantissima sulla Grande Guerra, un'opera che trova il suo coronamento in questi due libri di cui vogliamo parlarvi, "In fuga dai Tedeschi - l'invasione del 1917 nel racconto dei testimoni" e "L'ultimo anno della prima guerra - il 1918 nel racconto dei testimoni friulani e veneti".

Quando si parla di guerra, la storiografia può offrirci analisi politiche e militari, più o meno orientate. Le grandi guerre e le grandi battaglie sono da sempre oggetto degli studi più approfonditi, soprattutto quando si tratti di conflitti che, come la Prima Guerra, hanno
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La copertina del libro
di Camillo Pavan
sconvolto equilibri, cambiato la mappa politica del mondo e sono stati il prodromo a successivi, tremendi, sconvolgimenti. E soprattutto in questi casi diviene quasi inevitabile che lo storico fornisca (più o meno coscientemente) una sua lettura di parte, perché ci sono fatti, ormai consegnati alla Storia, che hanno però determinato profondamente anche il nostro vivere quotidiano, la nostra realtà politica attuale.
Quando si parla di guerra, diviene quasi inevitabile condannarla, perché la guerra è sofferenza, morte, distruzione; ma purtroppo questa indiscutibile condanna è quasi sempre espressa da quanti, dichiarandosi "pacifisti" o "antimilitaristi", hanno però un'insopprimibile tendenza a dimenticare l'una o l'altra parte, a seconda della convenienza politica, sicché il pacifista o l'antimilitarista sono, più realisticamente, i partigiani dell'una o dell'altra parte, pronti a descrivere tutto il male fatto dalla parte avversa.
Assolutamente diverso è il metodo di Camillo Pavan: chi ha già letto le precedenti opere dello scrittore veneto sa come, assieme alle accurate ricerche negli archivi storici, Pavan ci fornisce le testimonianze più dirette, più umane, sulle quali ricostruire gli eventi in quella particolare dimensione, in genere negletta, che ci consente di capire cosa fu realmente la guerra per le popolazioni, nello sconvolgimento della vita quotidiana, delle certezze di ogni giorno. ".un mondo che si rovescia, una cosa che non si riesce a spiegare."

Lasciamo che sia lo stesso Autore a spiegarci come nasce e come è impostato il libro "In fuga dai Tedeschi". ". I protagonisti di questo libro erano allora bambini, al massimo adolescenti; nessuno arrivava ai vent'anni. Sono donne e uomini qualsiasi, ma sono gli ultimi ad avere vissuto in prima persona quell'evento lontano, straordinario e terribile, che fu la Grande Guerra. Nei loro racconti non mancano ingenuità, imprecisioni, esagerazioni e rielaborazioni a posteriori di episodi da loro stessi mille volte ascoltati. Leggendo con attenzione si riuscirà a distinguere il vero, il vissuto come vero e il fantastico..."
I protagonisti: oltre ottanta persone, intervistate dall'autore nell'arco di un quindicennio, dal 1984 al 1999. E' quindi dalla loro voce che noi possiamo rivivere la tragedia di Caporetto, la fuga, l'odissea dei profughi e i drammi di quanti invece restarono.
Dopo un paziente lavoro di traduzione dai dialetti e di trascrizione di decine di audio cassette, Pavan ha suddiviso cronologicamente i ricordi degli intervistati e ogni capitolo rappresenta una tappa del penoso cammino iniziato il 24 ottobre 1917, quando scattò l'offensiva austro tedesca che travolse le linee del nostro esercito e fece risorgere un'atavica paura: la paura dei "tedeschi". Virgolettiamo la parola non a caso perché, come ci spiega lo stesso Pavan, l'offensiva di Caporetto e la successiva occupazione furono opera della XIV Armata austro tedesca, che comprendeva combattenti della Germania unitamente a ciascuna delle molteplici nazionalità dell'impero austro ungarico. In tutto, gli invasori appartenevano a venti nazionalità e gruppi etnici.

Ma comandi e truppe italiane usavano genericamente il termine "tedeschi", così come i testimoni, pur intervistati a settanta-ottanta anni dai fatti. Solo quando si scendeva nei
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Caporetto: soldati italiani
in rotta dopo l'attacco tedesco
dettagli, soprattutto per distinguere il comportamento di tedeschi, ungheresi e bosniaci da quello degli austriaci, le differenze venivano sottolineate, in genere a favore degli austriaci.
Dall'Isonzo al Piave: le truppe austro - germaniche travolgono le nostre resistenze e inizia l'incredibile. Il mondo che si sconvolge per una popolazione perlopiù rurale, le cui certezze erano la famiglia, la terra da lavorare, gli animali da governare. La visione dei soldati in rotta disordinata è già di per sé stessa sconvolgente, l'atavica paura ritorna: arrivano i tedeschi, in una parola arrivano dei soldati che l'immaginario popolare vede come spietati e feroci, "che tagliano le mani ai bambini", "stuprano e saccheggiano". E intanto i nostri soldati fanno saltare i depositi di munizioni, per non farli cadere in mano al nemico. Il mondo si sconvolge "è tutto un fuoco".
Partire o non partire: il titolo del secondo capitolo enuncia il dramma delle popolazioni. Perché la scelta non è così semplice. Per molti partire vuol dire abbandonare "la roba", né questo è bruto materialismo, ma è la possibilità stessa di vivere. Perché per una popolazione prevalentemente agricola "la roba" è anche la fatica di ogni giorno, quella che permette di vivere. Il maiale, la vacca, le coltivazioni, il vino: partire e lasciare tutto alla mercé degli invasori o restare per difendere le proprie cose?

E restando, sarà possibile difenderle? Poi l'invasore dilaga e con l'invasore bisogna anche trovare un modus vivendi, laddove sia possibile, oppure cercare di opporsi agli abusi; e questo è spesso più difficile, se non impossibile. Né le pretese dell'invasore si limitano alla "roba". Il ricordo di stupri sfuma per naturale difesa, per senso del pudore, tuttavia, avvisa Pavan, i risultati della Commissione di inchiesta che indagò sulla violazione dei diritti umani nelle zone invase non consentono di liquidare questo fenomeno come "mera propaganda". ". è pure inevitabile che tutti gli eserciti, compreso quello italiano nelle 'Terre Redente', siano protagonisti di stupri. Ma c'è un livello di violenza diciamo fisiologico (tuttavia non accettabile) e un livello patologico: non tutti gli eserciti impegnati nella Grande Guerra si comportarono come l'armata austro-tedesca vincitrice a Caporetto. Liquidare la scia di violenza ed efferatezze che accompagnò l'invasione del Friuli e del Veneto nel 1917-18 come mera propaganda è senz'altro riduttivo."Abbiamo fin qui letto, dalla voce dei testimoni, il dramma dello sconvolgimento e dell'invasione. La guerra non è più il lontano brontolio del cannone, ma diviene un fiume in piena che travolge la vita, la famiglia, la tranquillità di tutti i giorni. È la guerra "totale", un fatto che non riguarda più solo gli eserciti, ma coinvolge tutti, donne, bambini, vecchi, travolti da avvenimenti che li sovrastano. Le testimonianze scorrono tra due estremi, tra la realtà e la favola. Due frasi significative aprono il prologo del libro: "Mi ricordo come fosse adesso" (Isolina Polito, di Romanziol) e "Adesso sembra una favola" (Lido Fattori, di Udine). Ma tra realtà e favola c'è comunque una ricorrente che accomuna spesso l'esercito italiano in rotta e l'esercito austro ungarico in ritirata: la fame.

Molto prosaicamente, aldilà delle parole altisonanti di politici e Stati Maggiori, i soldati che fuggono, ma anche quelli che dilagano, hanno fame. I due Imperi sono stremati dopo quattro anni di guerra e inoltre la velocità dell'avanzata ha colto di sorpresa gli stessi vincitori, che ora si trovano senza rifornimenti. Una vacca, un maiale, i polli, e il vino sono 
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Addio alla casa, al villaggio, ai
ricordi. Con lo strazio nel cuore
meraviglie per impadronirsi delle quali non si esita a mettere mano alle armi. Né si esita a cercare di difendere, a rischio della vita, questi beni preziosi. Perché, lo notavamo prima, per una famiglia contadina una vacca, una scrofa, le botti piene di vino buono, vogliono dire la stessa sopravvivenza. Poi, gli austro ungarici saranno ricacciati dalle nostre truppe, riorganizzate dopo il pauroso sbandamento. La linea del Piave sarà il simbolo della riscossa. Ma non solo di quella.
Riportiamo, così lapidaria come la leggiamo, una testimonianza che da sola ci dà un quadro molto significativo: "All'altezza del Ponte di Tre Bocche, sull'argine grande da San Bortolo a Fagarè, i tedeschi erano venuti di qua del Piave e si sono mangiati mezzo maiale a casa dei Biasini, fittavoli di Marinello. Poi è arrivato il 18° bersaglieri italiano, ha mandato via i tedeschi e si è mangiato il resto del maiale".
Due capitoli, "Profughi, la partenza" e "Profughi, il viaggio" raccolgono le testimonianze di quanti fuggirono. Secondo i dati del Ministero delle Terre Redente, furono oltre seicentomila le persone che lasciarono le terre invase. Fu un esodo biblico, che mise le autorità di fronte a problemi del tutto nuovi. La gente in fuga intralciava le strade già intasate dai militari in rotta e dai pochi reparti ancora inquadrati.

Per alcuni giorni fu il caos totale, poi la fuga iniziò ad avere un andamento più ordinato, consentendo alle autorità di organizzare, dove possibile, l'accoglienza dei profughi. Oggi, abituati come siamo a viaggiare, forse fatichiamo a capire appieno il dramma che vissero quei profughi. Per un veneto o per un friulano, per una popolazione attaccatissima alla propria terra, trovarsi a dover migrare forzatamente fino, in alcuni casi, in Sicilia, fu un vero dramma nel dramma. Il popolo italiano era lungi dall'essere "uno" e le testimonianze raccolte da Pavan ci riportano tanti casi di solidarietà e carità, ma anche ricordi di discriminazioni, di fame, di emarginazione, rese ancora più tragiche dal fatto che molti nuclei familiari si erano frantumati nella fuga. I bollettini di ricerca di familiari dispersi, diffusi dalle Prefetture e dalle Istituzioni di assistenza, restano come documenti di un ulteriore dolore portato dalla guerra.
Molto interessante è l'appendice "Preti e Vescovi dopo Caporetto". La direttiva del Vaticano era molto semplice: rimanere al proprio posto: "E' volere dell'Augusto Pontefice che, anche in caso di invasione, tutti gli ecclesiastici, vescovi e sacerdoti, rimangano al loro posto, per compiere con la dovuta abnegazione il proprio dovere ed infondere agli altri la calma tanto necessaria in sì dolorose circostanze". Il clero seguì nella quasi totalità le direttive papali. Tra i pochi vescovi fuggiaschi, quello di Udine e tuttavia nella sua diocesi, 600 preti su 678 restarono al proprio posto. Ci furono anche casi di parroci, come l'abate di Moggio Udinese, Pacifico Belfio, che, trovandosi fuori sede al momento dell'invasione, sentirono il dovere di tornare alla propria parrocchia per stare vicini ai fedeli.

Nel complesso insomma la Chiesa "tenne" e i suoi preti affrontarono l'incognita del comportamento dell'esercito invasore. Anche qui non mancano le testimonianze dei diversi modi di agire degli austriaci rispetto ai germanici e tanto più rispetto a bosniaci e ungheresi. E sovente i preti dovettero adattarsi alla situazione, per lenire le sofferenze della popolazione, salvo poi trovarsi, a guerra finita, accusati di "collaborazionismo". Né questa accusa venne dalle popolazioni, ma da quella classe politica che faceva del laicismo mal inteso una bandiera che fu, in questo caso, quanto mai inopportuna, perché nei momenti di maggior caos e sbandamento la Chiesa rappresentò, come già altre volte nella storia, il solo punto di riferimento stabile.
Il Vescovo di Vicenza, Ferdinando Ridolfi, scriveva il 25 giugno 1918 al Primo Ministro, Orlando, e al ministro guardasigilli Sacchi: "Eccellenze, ho 700 preti, 200 sotto le armi e 500 in cura d'anime. sono tutti al loro posto, dall'inizio della guerra, non uno l'ha lasciato. Si trovano scaglionati, tra i bagliori delle vampate e tra lo scoppio delle bombarde, davanti al Pasubio, al Cimone, al Cengio, al Paù, Al Grappa. non uno è fuggito. Non uno m'ha chiesto un trasloco, non uno. Eccellenze, può il governo dir lo stesso dei suoi funzionari?.". C'è infine, e i lettori ci perdoneranno se non procediamo in ordine perfetto, un capitolo a nostro avviso molto importante, inserito prima dell'appendice: "Gli intervistati, profili biografici".

Non è un mero elenco di nomi e date di nascita, luoghi di residenza. È il modo di toccare con mano un pezzetto di vita di ciascuno di questi testimoni, perché una persona esiste con un nome, un cognome, esiste in un paese dove è nata e in paese dove è
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Maniago (Friuli): profughi
in attesa di partire
vissuta. Questo elenco rende il libro più vivo, ci fa entrare in un contatto più profondo con quelle voci sparse, con quei ricordi così profondi e così vivi nella loro semplicità.
"L'ultimo anno della prima guerra" è un volumetto di sole 64 pagine. L'Autore ci spiega, nella postfazione del libro, che quest'opera è nata dall'esigenza di non lasciare inutilizzate tante interviste che non avevano trovato spazio nell'altro libro. Purtroppo una proposta fatta da Pavan alla Provincia di Treviso, affinché acquistasse il materiale per metterlo a disposizione degli studiosi, è rimasta senza esito. Così è nata la decisione di pubblicare anche questo volumetto, in sole 370 copie, di cui 340 numerate e firmate.
Due capitoli in particolare ci hanno colpito: "La fame" e "I frutti della guerra - recuperanti di mestiere - il Carso". La fame, Cavaliere dell'Apocalisse, che stermina gli uomini dopo la follia del conflitto, fu la vera protagonista dell'ultimo anno di guerra. Testimonianze che ripetono, ossessivamente, lo stesso dramma: trovar da mangiare. Il registro dei morti della Parrocchia di Miane, nella sua crudità, dice molto di più di qualsiasi discorso: morti per anno: nel 1916, 66, nel 1917, 73, nel 1918, 521.

L'anno successivo, 1919, si ritorna a cifre "fisiologiche": 58.
Poi ci sono le conseguenze della guerra: chi scopre che per riuscire a campare può essere una soluzione mettersi a fare il "recuperante": le zone di battaglia sono piene di metalli che si possono commerciare, rame, ferro, piombo. Ma spesso questo vuol dire incappare in una mina e saltare in aria, cercare di svuotare un proiettile per recuperare il rame del bossolo vuol dire restare mutilati. La guerra vuole ancora, dopo anni, il suo tributo di sangue. E infine "Il Carso", la testimonianza di Enzo Giusmano di Sagrado, che quasi per caso prese ad esplorare la zona, scoprendo le salme di tanti caduti abbandonati e dimenticati e si diede da fare perché fosse data una sepoltura cristiana a quei poveri resti, lasciati in un "paesaggio lunare", che trovarono poi riposo, almeno in parte, nel sacrario di Redipuglia. E un amaro accenno finale al museo di San Michele, ormai aperto solo al sabato e alla domenica, grazie alla buona volontà di un pensionato di Gradisca. La Patria non si è curata molto dei suoi figli morti: sul San Michele "adesso ci sono anche molti ripetitori televisivi".
Accennavamo all'inizio del nostro articolo ai "pacifisti" e agli "antimilitaristi", con tutta la nostra cordiale disistima per gli uni e per gli altri. Leggiamo invece, e facciamo leggere, le opere sulla Grande Guerra di Camillo Pavan. La certosina pazienza dell'Autore ci consente di capire cos'è la guerra. La raccolta puntuale e fortemente determinata delle testimonianze dirette di chi si trovò nel mezzo del turbine, il racconto privo di enfasi e retorica, ci portano ai fatti, alla tragedia vissuta, ci portano a capire come siano vuote tante analisi politiche, sociali, militari, tante posizioni partigiane.

Morte, fame, dolore, vite sconvolte. Questa è la guerra. E ci consenta l'amico Pavan un confronto: Erich Maria Remarque ("Niente di nuovo sul fronte occidentale") e Sven Hassel ("Maledetti da Dio") vanno con lui a braccetto, nel denunciare, con una prosa asciutta e semplice, ma con l'enorme forza dei fatti, l'atrocità della Guerra in sé stessa e soprattutto la sua inutilità. Con una differenza: Pavan ha la fortuna (o la sfortuna, scegliete voi), di essere italiano, vivere e lavorare in Italia, in un Paese sonnolento e disattento, che non conosce e non vuole conoscere la sua storia, che preferisce un po' di retorica sbrigativa, per avere il tempo di tuffarsi poi nell'ultimo programma televisivo e intontirsi a dovere. E così Camillo Pavan è edito da Camillo Pavan. Una scelta che gli fa onore, ma che è anche faticosa. Per questo invitiamo tutti i nostro lettori a conoscere meglio l'Autore visitando il suo sito, www.camillopavan.it , sul quale potranno anche trovare le modalità per acquistare i suoi libri.
All'amico Camillo Pavan porgiamo un saluto e un ringraziamento: ancora una volta ci ha dato l'occasione di imparare, di restare stupiti e quindi, speriamo, anche di migliorare un poco.
BIBLIOGRAFIA
  • In fuga dai Tedeschi, pagg. 160, con molte illustrazioni b/n nel testo, euro 18,50
  • L'ultimo anno della prima guerrapagg. 64, con illustrazioni b/n nel testo, tiratura limitata a 370 copie, euro 20,00

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