mercoledì 5 settembre 2012

Sile, la piarda di Casier - Presentazione di Ivano Sartor


Il 16 novembre 2005 Ivano Sartor, storico ed ex sindaco di Roncade, presenta il volume La piarda di Casier sulla motonave Silis della ditta Stefanato Navigazione di Casale sul Sile ormeggiata nella “piarda”, il porticciolo fluviale di Casier.

Camillo Pavan e Ivano Sartor prima della presentazione
ASCOLTA L'AUDIO «Allora, buongiorno a tutti. Io avrei questo compito, anzi, ho questo compito di illustrare il libro di Camillo Pavan.
Il primo impatto che si ha affrontando quest’opera è il titolo: Sile, la piarda di Casier. Spero di aver pronunciato giusto piarda. Perché noi che siamo, credo, come la maggioranza qui, uomini terricoli, di terraferma, conosciamo poco il lessico particolare del mondo che vive sull’acqua, delle professioni dell’acqua. […]
PIARDA, leggo nel risvolto di copertina: “Termine tipico della navigazione interna, con cui viene indicato un tratto di argine posto sulla curva di un canale o di un fiume dove la barca può accostarsi per caricare o scaricare merci”. Questa è una definizione tratta da un’opera che si occupa anche di questi aspetti, di idrotoponimi. La piarda quindi è, in sostanza, un approdo fluviale adatto all’attività di carico e scarico. E mi pare di capire, a naso, io non sono uno scienziato di questo particolare settore … mi pare chiarissimo il riferimento dal termine pigliare, piàr e quindi caricare, scaricare, prendere, mettere dentro nelle barche. E qua a Casier, ovviamente … basta guardar fuori … qui si svolgeva questa attività come si svolgeva in tanti altri punti strategici del fiume Sile, dalla sua foce, dal suo arrivo in mare, fino al centro di Treviso, fino alle immagini che abbiamo e che sono, credo, a tutti note: quei grandi barconi di fronte all’ospedale vecchio di San Leonardo. Quindi da questa attività di traffico, di commercio, un viavai di vari mezzi, vari natanti, deriva il titolo di questo volume, che è anche una sintesi del suo contenuto.
È una sintesi del contenuto anche dal punto di vista geografico, perché parte da Casier. Questo libro inizia proprio con un affondo sulla storia di Casier. Una storia antica, una storia che affonda nelle epoche protostoriche direi, più che preistoriche; del periodo del bronzo, dei grandi ritrovamenti avvenuti proprio qui a Casier nel periodo paleoveneto. Se voi andate al museo civico di Treviso vedete molti pezzi che sono illustrati come provenienti da Casier. Addirittura c’è un tipo di spade in bronzo che è definito del tipo Casier, tipologia Casier. Se le si trova in altre parti d’Italia e d’Europa vengono definite “spade tipo Casier”.
Partiamo da questa epoca antica. Viene in mente quello che ha fatto l’abate [Luigi] Bailo, il fondatore del museo di Treviso, con questi pezzi. Andava in giro … pensate, che i cavatori di ghiaia – dei quali accenneremo un po', era una delle attività principali del fiume Sile – vendevano ai calderai questo materiale, perché era rame, era bronzo, erano metalli dai quali ricavavano qualche franco. Quindi il vecchio abate Bailo che è il fondatore del museo – parliamo della seconda metà dell’Ottocento – e che era una grande figura, grandissima figura di intellettuale di Treviso, era definito dai suoi contemporanei  “il più giovane dei vecchi” perché sapeva vedere più in là degli altri – andava in giro dai calderai a raccogliere 'sti pezzi che hanno costituito le prime raccolte per il nostro museo civico.
Poi il libro affonda molto in sintesi, perché non è questa la finalità del volume, sugli altri argomenti della antica Casier , quindi del Monastero altomedioevale fino alle ville del periodo moderno fino agli argomenti    li accenno appena, perché sennò andremo troppo per le lunghe – delle due guerre con la presenza di Hemingway, con la presenza degli ospedali, prima quelli militari, per esempio quello della Repubblica di San Marino durante la prima guerra mondiale, fino poi all’ospedale civico di Treviso, che dopo i bombardamenti di Treviso si trasferisce proprio a Casier (il nostro ospedale “dei Battuti”).
Poi c’è una parte del libro che riguarda proprio questa realtà dove siamo adesso: la vita della piazza di Casier con tutti i suoi protagonisti, con tutte le sue realtà che hanno costituito il protagonismo di Casier attorno al porto: dalle scuole, alla Cooperativa, agli abitanti, agli squeri e a quant'altro.
Andando sempre a parlare del titolo, se si legge il sottotitolo, anche questo è molto importante, perché anche qui c’è un po' la sintesi del contenuto: barcari, burci, draghe e squeri. Per la verità non c’è tutto, nel sottotitolo, il libro parla anche di altri aspetti, anche di altre attività, per esempio dei mulini, dei mugnai. Però diciamo che qua c’è l’essenza, con questi barcari, con questa attività di trasporto e quindi con l’attività artigianale di costruzione dei mezzi di trasporto che è stata fondamentale, ed è tuttora una realtà importante nel Sile. Tutti i cantieri, tutti gli squeri antichi, cito alcuni nomi che leggo nel libro: i Cantieri del Levante, Vezzà, Barina, Ceccotto, Viezzoli, i Piovesan di Fiera, i Rizzetto che avevano anche a Portegrandi, dove tuttora ci sono tre squeri, tre cantieri navali, i Crosera.  
Il libro è molto esteso … butto gli argomenti per incuriosirvi alla lettura del volume.
C’è tutta la straordinaria, importantissima attività delle draghe, che hanno fatto disastri ambientali sul Sile, diciamolo chiaramente, però hanno risposto a una domanda che c’era di questo materiale. Voi sapete che fino agli anni Trenta - Quaranta dell’Ottocento erano rarissime le strade della zona che avevano ghiaia. Di inghiaiate c’era solo la Callalta e il Terraglio. Le altre strade erano ovviamente frequentate solo quando non pioveva, quindi in una piccola parte dell’anno. Ordinariamente la via di transito normale, più facile, più veloce, erano i fiumi. Le altre strade erano tutte in terra battuta. Si è incominciato a inghiaiarle tra gli anni Trenta e Quaranta, cioè durante il Lombardo–Veneto.
Parlavo di costruire le strade, che era in pratica l’inghiaiatura, il fare i ponti che prima erano di legno, molto provvisori. C’è stata in questo periodo un’esplosione di domanda della ghiaia e il Sile era una risorsa per i vari appaltatori di queste costruzioni e manutenzioni delle strade. Abbiamo tutta l’attività delle draghe che iniziano appunto nell’Ottocento con questi mezzi rudimentali, con questi baióni montati sopra delle chiatte, che alla fine si sono evoluti fino ad arrivare alle grandi draghe meccanizzate, elettriche: quelle che ci ricordiamo un po’ tutti i presenti, credo, e che ancora vediamo all’opera in qualche parte. Tanto per ricordare le cave che si sono formate: la Barina, la Tiso, la Rizzetto, solo per buttare alcuni nomi e non avere la pretesa di essere esaustivo.
Ci sono tutte le attività dell’uomo nel corso del Sile. Qua noi abbiamo i fratelli Stefanato che sono l’epigono, cioè gli ultimi operatori che hanno saputo innovare, ammodernare l’attività, e loro con la loro figura e la loro presenza riassumono tutto questo vissuto antico di un mondo molto particolare, quello di chi vive sull’acqua, dei barcari. È ben spiegato nel libro, dove c’è anche un lessico particolare che noi non capiamo. Il libro ci aiuta anche a capire questo linguaggio particolare che hanno i barcari e che non è comprensibile a noi terricoli.
Il libro non può che prendere atto della fine di un’epoca. Si è trasformata la società. La meccanizzazione, la motorizzazione ha portato alla fine di una vera e propria forma di civiltà, di una vita che si svolgeva lungo il fiume, dove era prevalente questa attività di trasporto. Trasportavano di tutto. Per esempio, quando si leggono le memorie di questi barcari, chi potrebbe immaginarsi che trasportavano sabbia? Cioè, uno dice “ma, sabbia…”. La ghiaia va bene, ma la sabbia del deserto, la sabbia del deserto trasportavano. Io credo che fosse destinata alla Vetrocoke, non l’ho trovato nel libro…
Interviene Glauco Stefanato: … a una fabbrica di perfosfati…
Perfosfati, ecco, perché immaginavo la sabbia legata alla produzione del vetro. Invece … è una sabbia finissima che non esiste da noi e che ha un utilizzo chimico, come ha un utilizzo chimico anche per la realizzazione del vetro, per altri aspetti.
Trasportavano ghiaia, sabbia, frumento, grano, cereali; abbiamo sentito prima i girasoli. Poi viene la stagione della colza, poi viene la crisi con il famoso caso dell’olio di colza sul quale ormai si stanno facendo studi. È storia passata, sono passati trent’anni da quella vicenda che ha avuto – partita da Silea, da Treviso  – un rilievo internazionale: ricordate i ministri del tempo, coinvolti, eccetera.
Alla fine la crisi del trasporto dei barcari, rispetto a questa vicenda dell’olio di colza. La lenta dismissione delle attività. Morivano i vecchi barcari, nessuno li rimpiazzava. Bruno [Glauco] Stefanato, lui stesso è andato a lavorare in fabbrica, perché suo padre diceva “qua no ghe xe prospetive, no ghe xe pì lavoro”. È la fine di un mondo.
Ivano Sartor
Cinque minuti ancora, se me li concedete. Mi avvio a fare un commento, al di là del contenuto, sul valore di quest’opera. Il valore fondamentale, io credo, di questo libro, che è realizzato da uno storico che ha alle spalle una notevole produzione libraria di opere storiche, è soprattutto quello centrato sulla storia orale. Oggi la storia orale è una branca della storia che ha un proprio specifico ruolo e contesto a livello scientifico, a livello di realizzazione, di costruzione della memoria storica. Ha una sua tecnica. Lo storico deve mediare e verificare quello che gli si dice – e così ha fatto Camillo Pavan – nel senso che la memoria è traditrice. Si raccoglie dopo tempo quello che è stato il ricordo di fatti passati e il ruolo dello storico è intanto quello di stanare chi racconta. Stanare, cioè fargli dire anche quello che non vuole dire, quello che vuole nascondere. E poi capire qual era il contesto storico di allora, non di quando si raccoglie la memoria. Perché poi la memoria tradisce, uno accentua di più cose alle quali adesso dà spazio. Invece lo storico deve ricostruire il più possibile veridicamente quello che era la realtà sulla quale scrive. Quindi è importante questo aspetto della storia orale, sulla quale ormai ci sono specializzazioni a livello anche universitario. L’urgenza di questo ruolo, di questa operazione della memorialistica vi è sempre. Ci sarà sempre storia orale. Perché adesso ci si sta concentrando, per esempio qui in questo libro, sui barcari di prima della seconda guerra mondiale, di dopo la seconda guerra mondiale. Quindici vent’anni fa lo si faceva sulla prima guerra mondiale e Camillo ha recuperato importantissime testimonianze, raccolte nell'87 – '88. Oggi non è più possibile, non esistono più, son morti praticamente tutti, tranne qualche rarissima eccezione, i protagonisti della prima guerra mondiale.
Quindi ci sarà sempre storia orale.  Fra cinquant’anni parleranno di noi, di adesso. Ci sarà sempre, però c’è un’urgenza: quando si perde quella fetta generazionale è persa la storia orale, restano i documenti, che a volte ci sono e a volte non ci sono. Per questo è stato importantissimo questo lavoro, perché questo libro è fatto soprattutto di raccolta di memorie, di testimonianze orali destinate ad essere perse e che invece vanno scritte, vanno sedimentate, perché  un libro resterà per sempre.
Noi oggi li ritroviamo, i libri scritti nel Quattrocento, nel Cinquecento magari in pochissime copie: li ritroviamo, ci sono. I libri restano sempre. Perché vanno nelle biblioteche nazionali, quindi una rete vastissima di biblioteche in tutto il mondo. Adesso poi sappiamo anche dove sono, perché con internet si accede immediatamente a sapere dov’è un libro. Quindi i libri resteranno sempre.
Io dico … a volte anche chi fa politica, fa tanta fatica a far politica: non resterà niente, di memoria. Noi che siamo storici, resteremo! Ecco, questa è un po’ un’ironia, un’autoironia… Scusate, era una battuta, anche per fare un po’ divertire, anche perché alcuni di voi mi conoscono, e quindi è un’autoironia. C’illudiamo di far tante robe, amministrando di qua e di là … dopo un anno due non si ricorda neanche più il nome del sindaco vecchio! Lo storico viene ricordato, viene citato dagli altri storici, perché  poi c’è un obbligo di citare. Se io scrivo utilizzando il suo libro devo citarlo in nota, sennò non sono serio. Chiudo qua l’argomento.
Un altro aspetto importante è che in questo libro appare un apparato iconografico importantissimo, ci sono novanta fotografie.
Attenzione, mai buttar via carte o foto, in casa. Sempre conservarle, sempre. Nonostante che i figli non sappiano cosa faceva il padre, perché in genere non lo sanno se non vagamente, sempre conservare e sempre mettere la data e i nomi dietro. Perché poi quando le si prende in mano a distanza di decenni, chi non l’aveva in mano non sa chi sono quelle persone. Sempre la data e sempre i nomi dietro!
Qui ci sono novanta foto d’epoca, in buona parte inedite e fornite anche da dei collezionisti che vanno nominati: Glauco Stefanato, Renato Papparotto e Bruno Gandin. Che vanno ringraziati per questa opera di raccolta, di conservazione della memoria. Perché anche l’iconografia è di fondamentale importanza, perché a volte si parla di una cosa ma non la si visualizza. Abbiamo bisogno anche delle immagini, soprattutto oggi che siamo nel mondo dell’immagine.
Merito dell’autore è di aver fatto delle lunghe didascalie alle foto. Lo ripeto tante volte anche agli amici e ai giovani che vengono per consigli: “Guardate, un libro ha tanti livelli di lettori. C’è chi lo legge tutto, dalla prima all’ultima riga. C’è chi guarda la copertina e lo mette a fare decorazione in salotto, ma c’è anche chi ha poco tempo e si concentra a leggere alcune parti del libro e magari legge le foto con le didascalie”. E quando la didascalia, come in questo volume, è piuttosto estesa e esauriente, è già una cosa importante, della quale voglio dar merito all’autore.
Chiudo facendo i complimenti a Camillo Pavan e augurandogli successo per questo libro.
Voglio un attimo ricordare, ma qui moltissimi sanno chi è Camillo Pavan, che lui è sostanzialmente fedele a due filoni di ricerca. Ha scritto sul Sile e sulla prima guerra mondiale: questi sono i suoi campi di specializzazione. Ci sono anche altre cose di storia locale, però voglio citare Drio el Sil 1985, Sile alla scoperta del fiume 1989, I paesi e la città in riva al Sile del 1991 e adesso c’è la chiusura della tetralogia … e poi diventerà anche qualcos’altro, non so se si dica pentalogia o qualcosa del genere. Poi ci sono i suoi contributi sulla Prima guerra mondiale centrati soprattutto sulla vicenda di Caporetto e dopo Caporetto: I prigionieri italiani dopo Caporetto, Caporetto stesso del 1997, L’ultimo anno della prima guerra, In fuga dai tedeschi
Questi due filoni sono la sua passione, la sua storia personale.
Chi non conosce Camillo Pavan che va a vendere i propri libri? Che li cura con molta passione, con questo lavoro di storico e nello stesso tempo anche di editore. In questo caso [La piarda di Casier] l’editore è la Navigazione Stefanato, ma lui è un esperto, come si può dire, di divulgazione del libro. Perché quello che manca molto spesso ai giorni nostri, non sono tanto gli uomini di cultura, sono gli operatori di cultura. Cioè che la cultura esca dai propri ambiti specifici e diventi patrimonio di tutti. Lo si fa in tanti modi, lo si fa soprattutto divulgando e facendo conoscere libri importanti come questo, per il quale ringrazio e mi complimento nuovamente con Camillo.»

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