giovedì 19 settembre 2013

GiraSile, GreenWay Parco del Sile - Riaprire la passerella sul fiume Sile di via Nogarè, fra Quinto di Treviso e Canizzano (mulino Granello "Benetin")


Alla fine degli anni '60 c'era sempre meno lavoro per i mulini a gestione familiare e una dopo l'altra le grandi ruote idrauliche, che per secoli avevano garantito la macina dei cereali nel Sile, iniziarono a girare a vuoto.
Nel 1979 fu la volta dell'ultimo erede dell'antica dinastia dei mugnai Granello “Benetin” a chiudere il suo mulino situato in uno dei punti più suggestivi del fiume.
Assieme ai mulini, anche i ponticelli in legno che da sempre ne permettevano l'accesso furono per anni abbandonati al loro destino.
Per restare al tratto fra Treviso e Quinto, la passerella più vicina alla città, quella di Mure alle spalle dell'aeroporto militare, venne sostituita - dopo lunghe battaglie dei residenti - da un solido (ma orribile) ponte in cemento-asfalto.
La più lontana, cioè quella di via Nogarè, da una parte fu integralmente restaurata (tratto che attraversa il fiume con accesso da Quinto), dall'altra (lato Canizzano, comune di Treviso) fu invece sottoposta a un graduale processo di privatizzazione che, proprio oggi che si parla tanto di percorsi ciclo-pedonali, ne rende impossibile l'utilizzo.
A me pare l'ennesimo e arrogante esempio di appropriazione privata di un bene pubblico.
Che poi il tutto sia avvenuto nel pieno rispetto della legge, non per questo cambio il mio giudizio di valore.

La passerella sul Sile di via Nogarè 
(al confine fra Quinto e Treviso) nel 1984,
prima del Parco, quando era vecchia ma praticabile. 
(Foto di Nino Botter)

La passerella nel 2013. In buono stato, ma non praticabile 
perché il pubblico accesso è proibito in entrambe le sponde del fiume.

NB - Fra l'altro nella realizzazione in via Nogarè del "Borgo ai Mulini" di Canizzano ricavato  dall'ex mulino Granello e adiacenze si è finto che non esistesse un altro problema: l'ingombrante vicinanza con l'aeroporto Canova e il continuo passaggio di aerei a brevissima distanza. 
Così il danno è stato duplice: pubblico perché si è chiuso l'attraversamento del fiume e privato perché il valore degli immobili - pur costruiti con ottime soluzioni architettoniche - non può che risentirne. 
Ritengo che se la passerella di via Nogarè fosse riaperta al pubblico e inserita a tutti gli effetti nei percorsi ciclo-pedonali previsti dal Parco del Sile molte più persone potrebbero rendersi conto di come siano sacrosante le lotte del  Comitato per la riduzione dell'impatto ambientale dell'aeroporto di Treviso.
Video

Il 13 gennaio 2017 è intervenuta sulla questione la tribuna di Treviso, con un articolo di Alessandro Bozzi Valenti che sottolinea l'indignazione di un ottantenne abitante del luogo - Pietro Scattolin - che, malgrado reiterate richieste alle "autorità", finora non è riuscito ad ottenere altro che promesse. La passerella continua infatti a rimanere chiusa.
(Mio commento) - Una soluzione, per sbloccare l'impasse, potrebbe essere la riapertura della passerella solo di giorno e la sua chiusura notturna. Un semplice timer risolverebbe il tutto. Se ci fosse la volontà. 
Soluzione analoga, peraltro, è stata già attuata per il vicoletto nel retro dell'abside del duomo di Treviso, vicolo Duomo, che congiunge il Calmaggiore con via Canoniche.

L'articolo di Alessandro Bozzi Valenti sulla antica e pubblica passerella
dei mulini sul Sile di via Nogarè fra Quinto di Treviso e Canizzano, ora privatizzata.

Nuovo articolo sulla Tribuna di Alessandro Bozzi Valenti, domenica 3 dicembre 2017.
Chissà che a forza di battere e ribattere qualcosa si muova.
I miei complimenti al giovane cronista per la sua appassionata testardaggine.

Alessandro Bozzi Valenti continua su  La Tribuna di Treviso la sua
campagna per la riapertura al pubblico della secolare passerella sul Sile
di via Nogarè, fra Quinto e Canizzano. (Ex mulini Granello "Benetin").

Via Priamo Tron a Sant'Angelo di Treviso-Santa Maria del Sile - (già via Capitello). La forma dei campi 1713-2013

Fossi, strada e campagna fra le attuali via Priamo Tron
e via Torre d'Orlando in comune di Treviso (1713-2013).
In tre secoli attorno a via Capitello - strada campestre in comune di Treviso - sono cambiate tante cose, oltre al nome. Le colture si sono semplificate, riducendosi essenzialmente a seminativo e radicchio rosso. Sono aumentate le nuove costruzioni, e gli "annessi rustici" alle costruzioni rurali esistenti. È stata tracciata, nel 1949, una nuova strada: via Torre d'Orlando. 
Ma una cosa è rimasta incredibilmente uguale, la configurazione della campagna in cui i miei antenati arrivarono nel 1834. 
Con quel fossato dalla forma irregolare che raccoglie le acque di scolo del terreno e - unitamente a quello esistente ai bordi della strada - le convoglia a sud verso il vicino "scolo Dosson", che a sua volta confluisce nel fiume Sile al confine fra Treviso e Casier. Segno tangibile dell'importanza dei fossi come confine (oltre che nella buona pratica agraria) e dimostrazione plastica della legge d'inerzia attribuita da Emilio Sereni al paesaggio agrario, che una volta fissato in determinate forme tende a perpetuarle.

Historia del radicchio rojo de Treviso. Sus orígenes

La edición italiana de Wikipedia, en su última actualización sobre el “RadicchioRosso de Treviso”, ( 31.03.2013) menciona el hallazgo de Tiziano Tempesta que, en el cuadro Bodas de Canaan (1579 -82) de Leandro Dal Ponte llamado Bassano, ve en el 2007 un manojo de radicchio rojo demostrando así “como el radicchio era cultivado ya desde la mitad del siglo XVI”. Continúa afirmando que “el proceso de producción se habría afinado sólo en la segunda mitad del siglo XIX. Habría sido el viverista Francesco Van den Borre llegado de Bélgica en 1870 para realizar un jardín patricio, quien trajera a la zona de Treviso, la técnica del blanqueo ya usada para la achicoria belga.”
Si la cita de Tempesta es correcta, la atribución - si bien condicionada - a Van den Borre del mérito de haber hecho conocer a los campesinos  trevisanos las técnicas de blanqueo de la achicoria,  no es otra cosa que la repropuesta de una leyenda inventada por el gastrónomo escritor Giuseppe Maffioli, hoy valorada por otra autoridad en el campo de la enogastronomía, Giampiero Rorato quien se considera discípulo de Maffioli.
Uso, no por casualidad, el término leyenda (en el sentido de noticia  falsa) porque  hasta la aparición del primer número de la revista Vin Veneto que incluye un artículo de Maffioli  sosteniendo esta tesis,  ninguno había mencionado la hipótesis que Francesco Van den Borre fuera el inventor del radicchio rojo de Treviso. Menos aún su hijo, el viverista literato Aldo Van Den Borre, que en el 1935 se preguntaba «Cuál es el origen de este radicchio único en el mundo? Ningún historiador lo ha mencionado, ningún escritor de temas agrarios (…) ha hablado del tema, pero por cierto se lo cultiva desde hace siglos», y enfatizaba  que «si hubiera (también en Treviso) las instalaciones que se han construído en los alrededores de Bruselas y también en Parìs para la famosa Vitlof, la achicoria de Bruselas blanqueada, el radicchio de Treviso podría ser mucho mas útil a la horticultura trevisana y su exportación sería diez veces mayor… ».
¿Es creíble pensar que si su padre hubiera sido realmente el inventor del Radicchio, Aldo Van Den Borre, no lo habría recordado y no le habría dado una justa importancia? Obviamente no, no es creíble.
Sin embargo Maffioli sostiene que sí y para dar mayor crédito a su tesis modifica agregando un texto apócrifo un escrito de los años 20 del mismo Aldo Van Den Borre, La Coltivazione della Cicoria Rossa di Treviso incluyéndolo sea en el Vin Veneto que en el sucesivo La Cucina Trevigiana (1983).

El radicchio rojo de Treviso es presumiblemente una planta endémica cultivada desde hace tiempos inmemoriales con una técnica, fruto de la observación y experimentación de los campesinos locales.
Su presencia en la pintura del cinquecento, que tiene como tema una escena de vida popular, lo confirma.
Otro asunto es su apreciación como especialidad gastronómica y el consiguiente aumento de valor comercial iniciados en la segunda mitad del 800.
Esta valoración fue favorecida (tal como traté de demostrar con Raici hace 20 años) por el desarrollo de la ferrovía y por el impulso dado a los comercios por la abolición de los impuestos aduaneros, no posteriormente a la unificación nacional sino a la unión del Véneto con Italia en 1886.  A este respecto es muy significativa la obra del piamontés Francesco Cirio, el más grande de los exportadores italianos, que comercializó el radicchio en algunas ciudades importantes italianas y europeas. Fue particularmente fructífero el compromiso del agrónomo de origen Lombardo Giuseppe Benzi quien el 20 de diciembre de 1900 dió origen a la muestra histórica del radicchio en la Loggia del Palazzo dei Trecento en Treviso y que por décadas siguió su desarrollo en las columnas periodísticas de la Gazzeta del Contadino.

En este contexto se toma la obra de los Van Den Borre con su histórico “establecimiento hortícola” que se recordará no, por el descubrimiento de una técnica ya sabida, sino por la selección de las semillas, los escritos de divulgación de Aldo, su óptimo catálogo que hizo conocer esta “maravillosa variedad de radicchio (achicoria)… en cada ciudad de Italia y en el extranjero.”

Traducción: Virginia Ros


Achicoria roja - Radicchio rosso Treviso - Historia,
Traducción Virginia Ros