giovedì 8 gennaio 2015

Un mugnaio del Sile: la storia di Guido Granello, Canizzano

di Camillo Pavan


Di là del Sile, oltre i fragili e stretti ponticelli dei mulini dove un tempo si estendeva il villaggio di Mure e dove ora sopravvivono, in un residuo cuneo di terra, poche persone isolate tra il fiume e l’aeroporto, abita Guido Granello, classe 1920, figlio di figli di mugnai, mugnaio fino al tempo della sua giovinezza interrotta da sei anni di guerra e di prigionia.
Guido Granello è alto, ha le spalle larghe e un volto squadrato che mal si concilia con l’innata gentilezza del suo modo di parlare e di muoversi. Tanto che si prova una strana sensazione a vedere quest’uomo grande e dall’aspetto robusto accudire alle caprette (che alleva in un piccolo spazio ricavato dietro le mura dell’aeroporto), dar da mangiare alle galline, curare gli alberi da frutta come fossero fiori, sempre seguito da un cane lungo poco più di venti centimetri.
Come per tutti i figli di mugnai anche per Guido l’iniziazione al lavoro avvenne ben presto: «Gavéa sìe àni quando gò scumissià a levàr a mòla» (avevo sei anni quando ho iniziato a “levàr a mòla”). Doveva cioè, appena finito un turno di macinazione, manovrare la leva che permetteva di alzare le macine (e mòle), per evitare che girassero a vuoto, mentre gli “uomini” andavano fuori a seràr a ròsta: chiudere le paratoie (e bòe) che convogliavano l’acqua alla ruota, permettendone il funzionamento.
Guido Granello crebbe nel muìn de mèso, il mulino di mezzo, quello fra i tre mulini di Mure situato proprio al centro del fiume, quasi zattera galleggiante. Una costruzione che un tempo era in legno e che, quando le macine giravano, si scuoteva tutta, tanto da sembrare sempre sul punto di essere travolta e trascinata lontano dall’impeto della corrente.
Il mulino di mezzo aveva due ruote che davano lavoro — nello stesso ambiente, senza muri divisori e uno a fianco all’altro — a due mugnai che, pur non essendo parenti tra loro, avevano entrambi il cognome Granello, e si distinguevano per i soprannomi: Ói gli uni, i familiari di Guido, e Benetín gli altri.
I Granello Benetìn lavoravano con una mola de scarto e una de sóturco. Con la prima macinavano le pannocchie di granoturco più scadenti (de seconda), intere, assieme ai tutoli (i bòtoi), ottenendo i ròstoi che venivano utilizzati come supplemento alimentare per il bestiame. Con la seconda macinavano il granoturco da farina.
I Granello detti Ói avevano invece a disposizione una mola da mais e una da frumento. 


[...] Finalmente, dopo sessantadue mesi di filo spinato, ritornò a casa. E anche di questo momento ricorda la data precisa: era l’undici marzo del 1946.
La gioia del ritorno durò poco, il tempo di giungere a Canizzano, dove trovò i vecchi genitori senza più niente. Partiti i figli per la guerra avevano infatti dovuto cedere il mulino, che conducevano in affitto. Quel po’ di terra di cui erano proprietari era già stato espropriato per la costruzione dell’aeroporto. Anche la pòsta, assieme aMughetto e al carro, era stata venduta, ai Torresan.
Non restava che rimboccarsi le maniche e ripartire da zero. Lui che aveva trascorso la prima giovinezza all’aperto, girando di casa in casa con un’attività indipendente e di sicuro prestigio sociale, dovette cercarsi un appartamentino e ritenersi fortunato di trovare un lavoro salariato.
Fino al 1948 fece il carpentiere alla caserma Salsa, ancora una volta sotto gli inglesi, a mille lire al giorno. Poi passò come operaio alla ceramica Pagnossin, a scaricàr pière.
Volle anche tentare l’avventura dell’emigrazione. Era il 1952. Si presentò all’Ufficio del lavoro di Treviso dove la società italo-americana Wilchell cercava operai per la costruzione di ferrovie in Canada. «Eà i te vardàva e man: se no te gavéi i cài no i te ciapàva». (Ti guardavano le mani: se non avevi i calli non ti prendevano).
Non fu certo un problema per lui essere assunto, e dopo la traversata dell’Atlantico intraprese quella del mare verde rappresentato dalla sterminata pianura del Canada: sette giorni e sette notti per raggiungere Vancouver da Halifax. La cosa che maggiormente lo colpì, abituato com’era a macinare ai suoi tempi poco più di dieci quintali di grano al giorno, fu il correre per due giorni e due notti in mezzo a un’unica distesa di frumento.
L’avventura canadese durò poco. Dapprima un’infezione di itterizia e poi un’acuta nostalgia di casa — era sposato ed aveva già due figli — lo convinsero a prendere la via del ritorno, nel 1953.

[... l'intero capitolo e le note su ...]

Da Drio el Sil: storia vita e lavoro in riva al Sile a S. Angelo e Canizzano, Camillo Pavan, 1986 


1952. Foto della famiglia di Guido Granello
utilizzata per le pratiche di emigrazione in Canada.
(La riproduzione della foto è stata g.c. da Guido Granello)

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