La proliferazione di libri a prima vista potrebbe sembrare un buon segno, facendo pensare al grande amore dei trevigiani per il fiume di casa, elemento essenziale dell'identità cittadina. È una piacevole sensazione, che però non dura a lungo.
Si nota subito infatti che non si tratta né di studi, né di ricerche, ma di celebrazioni: testi e fotografie continuano infatti a commemorare il meraviglioso fiume che tanto i trevigiani amavano e che purtroppo è morto, ucciso da una iniqua sorte.
Nessuno poi si chiede chi sia stato ad ucciderlo e se poi sia davvero morto, come dicono. Ma in questi casi la commemorazione stessa è già di per sé una indicazione, dato che il Sile è ancora vivo, ma è in degrado per cause del tutto umane e trevigiane.
Sono le conclusioni che risultano evidenti leggendo «Sile» di Camillo Pavan, la più recente (e definitiva) monografia del fiume.
È un grosso libro che non ha fotografie di grande firma, è stampato in
economia, non si presenta come oggetto da regalo, non fa propaganda turistica,
e soprattutto non è la celebrazione di un morto.
È invece una documentatissima ricognizione compiuta di persona su tutto il corso del fiume, accompagnata da una esemplare ricerca storica, completata da interviste agli ultimi protagonisti della vita fluviale. In poche parole si tratta della prima, completa, totale indagine sulla situazione attuale del Sile, senza lamentazioni celebrative, né proposte utopistiche.
È invece una documentatissima ricognizione compiuta di persona su tutto il corso del fiume, accompagnata da una esemplare ricerca storica, completata da interviste agli ultimi protagonisti della vita fluviale. In poche parole si tratta della prima, completa, totale indagine sulla situazione attuale del Sile, senza lamentazioni celebrative, né proposte utopistiche.
Naturalmente il libro è stato stampato in proprio, dato che non trovò
alcuna sponsorizzazione: perfino la mesta prefazione di Cino Boccazzi (che pure
anni fa diede vita ai «Quaderni del Sile») ha l'ormai consueto tono della
commemorazione di un morto. Egli paragona perfino Camillo Pavan «a uno di
quegli amanuensi che chiusi nelle loro celle trasmettono la sapienza antica», cioè a
uno di quei frati che trasmettevano la memoria della cultura romana scomparsa
da secoli.
Tutta la corale campagna celebrativa della morte del Sile viene smentita
però dall'inchiesta di Camillo Pavan, dalla quale si ricava che i pericoli che
il Sile ora sta correndo sono determinati proprio da quei trevisani che amano così tanto il loro fiume da fare tutto quel che possono per ucciderlo.
Non è un paradosso, perché si tratta dello stesso atteggiamento mentale dei
cacciatori, così sinceramente amanti degli uccelli, che li fanno imbalsamare dopo
averli uccisi.
I trevigiani, che deplorano tanto il degrado del loro fiume,
continuano infatti allegramente a scaricarvi dentro le fognature di tutta la
città. Non basta certo quel ridicolo impiantino a S. Antonino che, anche se
funzionasse in pieno, potrebbe a malapena depurare gli scarichi di 25.000 persone,
mentre i trevigiani sono ormai quasi 90.000. E stato poi accuratamente messo a
tacere l'episodio della constatazione di un condotto che rigurgitava scarichi
maleodoranti in Sile dall'ospedale (o dall'obitorio?).
Sandro Zanotto |
E che ne è stato del progetto di un «parco del Sile» alle sue sorgenti?
E chi ha mai punito le tanto facilmente accertabili recinzioni abusive di
argini demaniali o gli scarichi di detriti dall'argine?
Chiudo qui e per il resto rimando al libro di Camillo Pavan, che però
non dice una cosa che bisogna pur dire, cioè che coloro che degradano, inquinano e manomettono
il Sile sono trevigiani; sono pure trevigiani quelli che glielo lasciano fare, come gli amministratori
e i politici che non appoggiano le isolate iniziative in
favore del fiume. Sono tutti trevigiani, che però commemorano col pianto sul
ciglio la morte del loro fiume, dovuta a tragica fatalità.
Recensione pubblicata sul mensile Cronache Trevigiane - Anno V, Numero 5, Giugno 1989