martedì 19 febbraio 2013

Sandro Zanotto, Il Sile è davvero morto?

Da qualche tempo si vanno moltiplicando le monografie sul Sile, di solito fondate su fotografie di effetto e testi poetici, che si presentano come eleganti oggetti da regalo, in relazione alla recente vocazione turistica dei trevigiani. 
La proliferazione di libri a prima vista potrebbe sembrare un buon segno, facendo pensare al grande amore dei trevigiani per il fiume di casa, elemento essenziale dell'identità cittadina. È una piacevole sensazione, che  però non dura a lungo.
Si nota subito infatti che non si tratta né di studi, né di ricerche, ma di celebrazioni: testi e fotografie continuano infatti a commemorare il meraviglioso fiume che tanto i trevigiani amavano e che purtroppo è morto, ucciso da una iniqua sorte.
Nessuno poi si chiede chi sia stato ad ucciderlo e se poi sia davvero morto, come dicono. Ma in questi casi la commemorazione stessa è già di per sé una indicazione, dato che il Sile è ancora vivo, ma è in degrado per cause del tutto umane e trevigiane.
Sono le conclusioni che risultano evidenti leggendo «Sile» di Camillo Pavan, la più recente (e definitiva) monografia del fiume. 
È un grosso libro che non ha fotografie di grande firma, è stampato in economia, non si presenta come oggetto da regalo, non fa propaganda turistica, e soprattutto non è la celebrazione di un morto.
È invece una documentatissima ricognizione compiuta di persona su tutto il corso del fiume, accompagnata da una esemplare ricerca storica, completata da interviste agli ultimi protagonisti della vita fluviale. In poche parole si tratta della prima, completa, totale indagine sulla situazione attuale del Sile, senza lamentazioni celebrative, né proposte utopistiche.
Naturalmente il libro è stato stampato in proprio, dato che non trovò alcuna sponsorizzazione: perfino la mesta prefazione di Cino Boccazzi (che pure anni fa diede vita ai «Quaderni del Sile») ha l'ormai consueto tono della commemorazione di un morto. Egli paragona perfino Camillo Pavan «a uno di quegli amanuensi che chiusi nelle loro celle trasmettono la sapienza antica», cioè a uno di quei frati che trasmettevano la memoria della cultura romana scomparsa da secoli.
Tutta la corale campagna celebrativa della morte del Sile viene smentita però dall'inchiesta di Camillo Pavan, dalla quale si ricava che i pericoli che il Sile ora sta correndo sono determinati proprio da quei trevisani che amano così tanto il loro fiume da fare tutto quel che possono per ucciderlo. Non è un paradosso, perché si tratta dello stesso atteggiamento mentale dei cacciatori, così sinceramente amanti degli uccelli, che li fanno imbalsamare dopo averli uccisi.
I trevigiani, che deplorano tanto il degrado del loro fiume, continuano infatti allegramente a scaricarvi dentro le fognature di tutta la città. Non basta certo quel ridicolo impiantino a S. Antonino che, anche se funzionasse in pieno, potrebbe a malapena depurare gli scarichi di 25.000 persone, mentre i trevigiani sono ormai quasi 90.000. E stato poi accuratamente messo a tacere l'episodio della constatazione di un condotto che rigurgitava scarichi maleodoranti in Sile dall'ospedale (o dall'obitorio?).
Sandro Zanotto
Finiscono inoltre in Sile senza depurazione gli scarichi tossici delle puliture a secco, dei fotografi, dell'officina degli autobus, assieme a quelli delle industrie. Un «pretore d'assalto» anni fa creò il «caso dell'olio di colza», ma si guardò bene dall'esaminare quel che l'industria continua a immettere nel Sile. 
E che ne è stato del progetto di un «parco del Sile» alle sue sorgenti? E chi ha mai punito le tanto facilmente accertabili recinzioni abusive di argini demaniali o gli scarichi di detriti dall'argine?
Chiudo qui e per il resto rimando al libro di Camillo Pavan, che però non dice una cosa che bisogna pur dire, cioè che coloro che degradano, inquinano e manomettono il Sile sono trevigiani; sono pure trevigiani quelli che glielo lasciano fare, come gli amministratori e i politici che non appoggiano le isolate iniziative in favore del fiume. Sono tutti trevigiani, che però commemorano col pianto sul ciglio la morte del loro fiume, dovuta a tragica fatalità.   

Recensione pubblicata sul mensile Cronache Trevigiane - Anno V, Numero 5, Giugno 1989
(Direttore Franco Pozzebon - Editore Marcaoggi - Stampa Italprint) 

Cronache Trevigiane, mensile diretto  da
Franco Pozzebon, anno V, Giugno 1989


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