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giovedì 2 aprile 2020

La peste del 1630 a Treviso (TV)

Dal libro "Drio el Sil"

Della peste e sulla peste, in varie epoche e da grandi scrittori, sono state scritte pagine memorabili. Ovviamente tali descrizioni si riferivano ad un contesto prevalentemente urbano, perché soprattutto nei luoghi di forte concentrazione umana l'epidemia si manifestava con i suoi aspetti più eclatanti. A Venezia, ad esempio, nel solo biennio 1630/31 morì il 32% della popolazione 1.
Poco si sa invece dei danni  causati dalle pestilenze nelle campagne: «ché della città quasi esclusivamente trattano le memorie del tempo, come ad un di presso accade sempre e per tutto, per buone e per cattive ragioni».
Affermazioni di cento e cinquanta anni fa che non hanno però perso il loro valore: sono di Alessandro Manzoni, che ha descritto la peste negli indimenticabili capitoli XXXI e XXXII dei Promessi sposi.
E' fuor di dubbio infatti che la peste colpì duramente anche in campagna, allora come sempre, basti solo pensare alla ben nota invocazione «A peste fame et bello, libera nos domine» così spesso ripetuta nelle processioni dei nostri contadini.
Nel caso della peste del 1630 abbiamo ancora una volta la fortuna di poterci servire del documento del parroco di Sarano, don Gerolamo Lissotti 2.
E l'eccezionalità di tale testimonianza spinge a riportarne ampi passi.
Fra l'altro anche Sarano, come S. Angelo, era una parrocchia di campagna che si trovava alle porte di una città, sia pure piccola: Conegliano.
Il racconto si apre con quella che, secondo il parroco 3, è la causa prima del morbo.
«Erano arrivati con la loro puzza alle nari di Dio Benedetto, parlando metaforicam(ent)e, li molti peccati nostri, onde sua div.a Maestà con la sua somma giustizia voleva castigarci … ».
Continua poi ricordando i provvedimenti presi per tener lontano il contagio.
«In questa villa di Sarano furono costituiti deputadi alla sanità due di questi huomini, … ambi di famiglie antiche di questo loco. Nelle cose poi della chiesa si facevano processioni ogni dom(eni)ca cantando le litanie con il salmo Domine ne in furore tuo … ».
Ma tutto fu inutile, infatti « … nel mese di 7bre si scoperse la peste poiché morto un serv(ito)re Veneto … ».
Come sempre accadeva in questi casi «si dubitava et da Cittad.i, et anco dalli istessi medici se q(u)esti erano morti da Peste et varii erano i pareri … ».
Il «seguente mese di 8bre» spazzò ogni dubbio, perché «si scoperse la peste formale…».
Il buon parroco allora, la domenica precedente la festa di Ognissanti, invitò i suoi fedeli a «prepararsi con la confessione de' peccati … si per placar la giusta ira di Dio, coma anco per prepararsi alla soprastante morte … et perché maggiorm(ent)e si sappia il modo da me tenuto, ponerò qui il (principio) della esortazione ch'io feci:
— Figlioli miei, che stiamo per aspettare? Già la scure è alla radice dell'arbore, li n(ost)ri peccati son arrivati con la loro puzza alle nari di Dio bened(etto) …
le quali parole da me con molte altre d(ett)e fecero sì che tutti, eccettuata una casa (che parleremo poi), si confessarno et si comunicarno».
E proprio nella casa in cui non ci furono confessioni, vicino al ponte sul torrente Crevada, abitata da «Adamo di cognome Vicentino … nella notte venendo il dì di ditti li Santi … si scoperse la peste».
«Volevano costoro coprire il male, ovvero scusarsi con altro male, onde dicevano che la moglie di Adamo era sconciata per aver fatto il dì antecedente liscia e che Adamo si sentia solam(ente) un poco di dolore di testa».
Ma in paese tutti erano a conoscenza di come «costoro per dinari avessero alloggiato costì Venetiani appestati», pertanto furono «subito sequestrati».
Gli appestati chiesero allora di essere confessati. Il parroco era combattuto fra le esigenze del suo ministero e la consapevolezza che, visitandoli, avrebbe corso il rischio di propagare ulteriormente il contagio in paese. Ma volle andarci ugualmente «per amministrarli li Sacramenti, et voglia Iddio, che di ciò non ne habbia a render conto … ».
Andò quindi in quella casa, confessò Adamo «stando lui lontano un poco … (e poi) … andando verso la camera dove habitava la moglie … (vide che la) … povera donna era mezza sopra il letto, e mezza sopra un banco vicino in camicia, et sopra ovvero sotto la mammella haveva una terribil ghiandutta. Io veram(ent)e mi spaventai talm(ent)e, che non poteri per allora discerner bene dove, né in qual luogo certo fosse il male».
Intanto, per fortuna, l'inverno era alle porte e «avvicinandosi il g(iorn)o di S. Lucia pareva che le cose prendessero qualche miglioramento … talché le Feste SS.e di Natale di N. S. si fecero con assai allegrezza, … » e nel successivo mese di gennaio «nella nostra villa … si fece voto all'invitto martire Sebastiano promettendo a Dio di far la sua festa il di 20 del mese di gen(nai)o … ».
A Conegliano, da parte loro, i responsabili della sanità considerando evidentemente esauritasi la pestilenza concessero che «si facesse una solenne processione andando il clero tutto, secolare come regolare, la nobiltà con il pop(ol)o tutto con devotione a visitar la … Chiesa di S. Sebastiano … ».
Dopo aver descritto lo svolgimento di questa processione, la cronaca così si conclude: «Fu poi in capo del mese di febraro liberata la terra d'ord(in)e pubblico, onde di ciò non starò più a scrivere».
Quella del parroco di Sarano si sarebbe rivelata una pia illusione.
Sappiamo che nella primavera dello stesso anno infatti, e qui ci spostiamo a Treviso, il male riprese.
Ecco un passo di una cronaca dell'epoca, scritta dal notaio Giovanni Minoto 4, che testimonia fra l'altro come la tendenza a considerare la peste un morbo che qualcuno voleva apposta e malvagiamente propagare non fosse solo una prerogativa milanese.
Siamo ormai al maggio del 1631 quando « … parve poi, che da persone maligne fosse da nuovo introdotto il male contaggioso in città, e in particolare con occasione di certe balle di cuori [cuoio], che capitorno per il Sile alle mani di un fante della sanità troppo ingordo …  ».
Il podestà Angelo Trevisan non tardò ad impartire ordini drastici per cercar di soffocare il contagio, ma inutilmente, perché « … crebbe di nuovo il male in modo che bisognò far nuova provisione di luochi … » dove inviare gli appestati. Così, a fianco del vecchio lazzaretto in riva al Sile se ne allestirono altri due: uno in «alcune casette de' signori Bampi nel borgo di S. Maria fuori della porta Altilia» e l'altro nella casa dominicale di tal Giulio Maffetti 5 «et altre casette dei suoi coloni et lavoratori in villa S. Artien» 6.
La peste del 1630 a Treviso, libro
''Pubblicazione della liberazione del mal
contagioso della città di Trevigi [...]''
-
Giovanni Minoto, Righettini TV, 1632
E non solo in città infuriava la peste, ma anche nei villaggi dei dintorni, dove peraltro più difficile era far rispettare le ordinanze sanitarie. Il podestà in persona allora, a detta del Minoto, fece il giro delle località da cui giungevano le notizie più allarmanti, non esitando a castigare « … quei temerari transgressori delle leggi che cercavano d'infettare quelle misere genti, come fece ultimamente a Paese, facendo moschettar un disgraziato, che partito dalla villa di Costamala di casa infetta, ove era sequestrato, e ferito di peste andò in detta villa per infettarla, onde (havendolo fatto prima confessare) fu lasciato con molte archibugiate morto».

Solo i rigori dell'inverno debellarono, stavolta definitivamente, l'epidemia.
La città e il territorio di Treviso vennero dichiarati ufficialmente liberi dalla peste il giorno dell'Epifania del 1632 con una solenne cerimonia cui parteciparono le maggiori autorità cittadine, su «un bellissimo palco, sotto la loggia del Consiglio» 7.
Non restava che contare i morti.
Per quanto riguarda il nostro villaggio, ecco l'andamento della sua popolazione in quegli anni 8.

POPOLAZIONE DI S. ANGELO DAL 1626 AL 1643

Data
"Da Comunion"
"Senza" (bambini)
Totale abitanti
12 - 4 - 1626
201
135
336
26 - 3 - 1627
202
130
332
18 - 4 - 1628
192
122
314
02 - 4 - 1629
170
103
273
18 - 3 - 1630
166
85
251
     - 4 - 1631
181
92
273
29 - 3 -1632
193
97
290
30 - 3 -1633
194
95
289
23 - 3 -1634
197
102
299
27 - 3 -1635
194
93
287
10 - 3 -1636
200
100
300
      -3 -1637
202
103
305
29 -3 -1638
199
104
303
26 -3 -1639
202
120
322
08 -3 -1640
201
115
316
16 -3 -1641
203
120
323
02 -4 -1642
-
-
353
 - / - /- 1643
197
123
320
Come si può notare il punto più basso fu toccato nel marzo del 1630 e non tanto perché la peste avesse maggiormente imperversato fino allora quanto perché ancor più ed ancor prima della peste la popolazione era stata decimata dalla carestia.
Ancora una volta ci aiuta l'analisi dei registri parrocchiali
In questo caso del registro dei morti 9.

STAGIONALITÀ DEI DECESSI A S. ANGELO (TV) DAL 1628 AL 1632

Anno
Gen.
Feb.
Mar.
Apr.
Mag.
Giu.
Lug.
Ago.
Set.
Ott.
Nov.
Dic.
TOT.
1628
1
1
-
-
-
1
-
2
1
1
1
-
8
1629
1
-
-
4
-
2
-
1
6
3
5
-
22
1630
1
1
3
2
-
2
2
2
1
2
-
3
19
1631
2
-
-
-
1
1
2
2
2
1
-
-
11
1632
2
-
1
2
-
1
-
-
2
-
2
-
10
Il vento di morte era iniziato a spirare violento già alla fine dell'estate del 1629: fu infatti nel mese di settembre di quell'anno che si registrò il più alto tasso di mortalità.
Non sappiamo se anche nel 1629 il raccolto sia stato scarso. È certo però che le conseguenze della carestia delle precedenti annate agricole continuavano a farsi sentire. I contadini infatti, per sopravvivere, avevano dovuto indebitarsi. Ora i debiti andavano pagati, ovviamente vendendo cereali, che erano così sottratti all'alimentazione: e ad organismi ormai allo stremo della resistenza era sufficiente un nulla per essere stroncati.
In occasione della peste, S. Angelo, come le altre "ville" dei dintorni, divenne meta ambita dalla nobiltà e dai cittadini abbienti della vicina Treviso, che vi si rifugiarono nel tentativo, peraltro spesso inutile, di sottrarsi al morbo.
Le fonti dell'epoca, anche quelle letterarie, non lasciano dubbi al riguardo.
Bartolomeo Burchiellati, medico e cronista trevigiano, ricorda come avesse mandato nella sua villa di Fontane i familiari 10.
Giovanni Minoto, commentando l'arrivo a Treviso il 1° settembre 1631 del provveditore alla Sanità Giacomo Marcello, sottolinea come egli non trovò «soggetti tanti che bastassero per fargli il degno incontro che meritava (poiché quasi tutta la nobiltà e civiltà, fuor che quelli che avevano carico, si era ritirata in Villa» 11.
Puntuale il libro dei morti di S. Angelo registrava:

«A di 26 otobrio 1630
La mag(nifi)ca sig.ra Thadia, moglie del q(uond)am
mag(nifi)co sig. Lorenzo Pinzini essendo in questa vil-
la di S.to Agnolo di anni 66 … passò da questa a mi-
glior vita. Il suo corpo per le strettezze delle cose della
sanità fu sepolto in questo sacrato apreso la
sacrestia …»

Evidentemente la signora Thadia, venuta in Villa sperando di farla franca, non solo vi morì ma, cosa disdicevole per dei nobili, dovette anche esservi sepolta.
L'anno successivo, fra gli altri nobili e "cittadini", il 19 settembre toccò a Madonna Cattarina del fu Pascale di Venezia.
Trovatasi a S. Angelo e resasi conto che era ormai giunta la sua ora, pensò bene di lasciare una somma alla chiesa affinché «pe l'anima sua siano ditte cento messe … e trentasei ditte secondo la sua intenzione».

Ma ormai, lentamente, la terribile epidemia andava esaurendosi e, quasi fatto simbolico, dopo tanta morte e desolazione, nacquero di là del fiume, a Corona, due gemelle: Maria e Margarita, figlie di Primo Visentin e di donna Cattarina sua moglie.
La barca con i genitori e le due bambine, e il compare Hieronimo Rizzardo al remo, attraversò il Sile. Sull'altra sponda, all'ingresso della chiesa di S. Angelo, li attendeva per celebrare il battesimo, pre Marco Sabbadini.
Era il 22 ottobre del 1631. La vita riprendeva.

Note

1 Daniele Beltrami, Storia della popolazione di Venezia dalla fine del sec. XVII alla caduta della repubblica, Padova, 1954.
2 Nilo Faldon (a cura), Un singolare documento della peste del 1630  nel territorio di Conegliano, 1962.
Si tratta di un breve dattiloscritto in cui Faldon (archivista della curia di Vittorio Veneto) riporta una cronaca coeva della carestia del '29 e della peste del 1630, opera di don Gerolamo Lissotti, parroco di Sarano e rinvenuta in quell'archivio parrocchiale in una copia del 1765.
3 Ma non solo secondo lui, visto che la descrizione della peste a Treviso di Giovanni Minoto inizia esprimendo lo stesso concetto.
Riguardo alle dispute sulle cause della peste, cfr. Paolo Preto, Peste e società a Venezia, 1576, Vicenza, 1978, pp. 160-186.
4 Giovanni Minoto, Breve compendio delle heroiche operationi, et provisioni fatte in materia di Sanità. Dall'illustrissimo e prestantissimo sig. Angelo Trivisano Meritissimo Podestà e Capitanio di Trevigi. Treviso, MDCXXXII, Girolamo Righettini. (Biblioteca comunale di Treviso).
5  Idem.
6 Eugenio Bacchion, La peste manzoniana in Treviso, in "Archivio Veneto", vol. IV, 1928, p. 247. Si tratta di un preciso e documentato studio che fra l'altro riporta integralmente i provvedimenti presi dalle autorità sanitarie in quell'occasione.
7 Giovanni Minoto, Pubblicazione della liberatione del mal contagioso della città di Trevigi. Concessa dall'illustrissimo e eccellentissimo sig. Giacomo Marcello Dignissimo Provveditore sopra la Sanità in Trevisana. Treviso, MDCXXXII, Girolamo Righettini. (Biblioteca comunale di Treviso). 
Si tratta di un volume, già appartenente alla biblioteca del canonico Giuseppe Antonio Bocchi, contenente una raccolta di "orazioni in lode" dei podestà o altri personaggi pubblici, al termine del loro mandato.
8 APSA (Archivio Parrocchiale Sant'Angelo), Stato d'anime, fasc. 1626-1669.
9 APSA, Registro dei morti, fasc. 1601-1645
10 Adriano Augusto Michieli, Echi e vittime della gran moria del 1629-31 in Treviso. In "Atti dell'Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti", T. CXIII, 1954-55, p. 35.
11 G. Minoto, Pubblicatione della liberatione… (Op. cit.)

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