di Camillo Pavan
«Oggi 30 Aprile m’incaricai d’andare a portare la cena al mio padre … Arrivata a casale scorgo ai dosetti una moltitudine d’uomini che lavorra a farre trincèé … uomini sconosciuti che tirano fili di ferro con pungenti fino su alla rupe …
Poveri noi, di quanta campagna ci privano!! non si può più tenere bestie non c’è più fieno, non c’è più pascoli …
La primavera ci sorride bellissima siamo al 16 di Maggio e la campagna vien avanti a vista d’occhio anche i gelsi hanno vantaggiato per lo meno di 15 giorni dagli anni scorsi promettono una quantità di foglia: ma per chi? .. nessuno parla di bacchi da seta… »1.
In questa primavera “bellissima” del 1915, lungo i seicento chilometri del confine italo austriaco dallo Stelvio al mare, era ormai finito il tempo di pensare ai lavori dei campi!
Dopo dieci mesi di incertezze, trattative e mercanteggiamenti fra i governi, stava per scatenarsi la tempesta.
Domenica 23 maggio 1915 alle 15,30 l’ambasciatore d’Italia a Vienna, Gualtiero Giuseppe duca d’Avarna, consegnava al ministro degli esteri austriaco barone Rajecz Stephan von Buriàn «la dichiarazione in base alla quale l’Italia si considerava in stato di guerra contro l’Austria-Ungheria a partire dalle ore zero del giorno successivo»2.
Quella domenica era festa grande, festa di Pentecoste, e i parroci di tutte le chiese lungo il confine avvertirono dal pulpito che ormai la guerra era imminente, che quel confine fra poco sarebbe diventato il fronte3.
Chi poteva andarsene abbandonò il paese; gli altri aspettarono gli ordini dei militari, che non si fecero attendere.
[... il capitolo segue su ...]
Da C. Pavan, Caporetto: storia, testimonianze, itinerari, 1997, pp. 26-40
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