1986, vince Camillo Pavan con "Drio el Sil"
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1986 - Premio Nazionale
dei Giovani "Costantino Pavan" |
Il libro, con le parole dell'autore (*)
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L’autore, chi era? (*)
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Inizialmente questo lavoro aveva un canovaccio del tutto diverso: pensavo infatti di utilizzare solo il materiale d'archivio riguardante i villaggi di S. Angelo e Canizzano, raccolto nel corso di due anni.
1126 luglio 1863 gli ingegneri trevigiani Giuseppe Santalena e Luigi Monterumici, cui i "deputati" Valerio Michieletto e Luigi Postpischel avevano affidato “il difficile e delicato incarico” di ricostruire la storia della strada che “dai mulini di Mure mette alla Monchia”, considerarono come fonte inoppugnabile quanto “i testimoni Carniato Girolamo e Tronchin Vincenzo, vecchi del luogo” avevano dichiarato il 5 giugno 1857 alla Deputazione Comunale, circa il guado del Sile a Mure fino al 1803. Mi sono deciso allora di andare anch'io a sentire gli abitanti "drio el Sil", lungo il Sile, "vecchi del luogo". Ne sono uscite testimonianze significative su come realmente si viveva in riva al fiume, fino a circa trent'anni fa, fino a quando cioè i nostri due villaggi erano prettamente agricoli. (In parte lo sono anche adesso: ma è tutta un'altra cosa). In fin dei conti le macine dei mulini di Canizzano avevano girato per almeno mille anni, prima di arrendersi all'avanzata dei "cilindri" della molitura industriale. Ora, a Mure, “nel prato, come una enorme vertebra, affiora una macina abbandonata”. * * * Fino a un quarto di secolo fa "el paeù" (la palude) veniva regolarmente tagliata: era ottimo come "strame" in stalla,e per tante altre cose. Ora "el paeù" è progressivamente interrato e quello che sopravvive è lasciato in balia di sé stesso, ricettacolo di immondizie, zanzare e topi. Nel Sile, da sempre, i ragazzi del "borgo" di S. Angelo e di tutte le case rivierasche, trascorrevano interminabili ore nuotando e giocando. Nel Sile Gènio Artuso si riforniva dell'acqua da bere per la famiglia. E chi andava a tagliare "el paeù" beveva direttamente dai fontanazzi. Se non le avessi sentite dalla viva voce degli interessati mi guarderei bene dal credere a tali affermazioni, abituato come sono a vedere il Sile - pattumiera dei nostri giorni. E ancora, le attività di pesca e di caccia, nel fiume e in palude per secoli hanno rappresentato un valido supplemento alimentare per gli abitanti dei due villaggi. |
Se avesse vinto un altro autore, ora starei trascrivendo con facilità una biografia, magari dal risvolto interno della copertina. Invece ha vinto Camillo Pavan ed è proprio un guaio.
L'opera è inedita e quindi non ha nessun risvolto di copertina e Pavan grandi notizie non ne fornisce proprio. Ivo Prandin, nell'intervista di rito in occasione della premiazione, sabato 12 aprile, gli ha strappato solo qualche faticosa ammissione (vedremo poi perché) e allora non mi resta che fare mente a un paio di incontri, a pranzo, e a qualche frase scambiata in dialetto. Camillo Pavan ha 39 anni, sposato, laureato in pedagogia (ma dice che è una laurea che conta poco), è stato insegnante ed ora, beneficiando di quanto consente la legge, è in pensione (ecco l'imbarazzo) seppure ci tiene a precisare che è andato in pensione utilizzando 10 anni di agricoltore. La sua però è stata una scelta di vita: dedicarsi alla ricerca su temi, cose, persone, storie, vicende legate alla "cultura locale". Una scelta importante e difficile, ma non ha paura: “ … ho buone mani, e se servono le uso ancora come una volta”. La passione lo porta alla ricerca, a scrivere sui giornali, anche questo libro, scritto in poco tempo, impegnato come era a curare alcune mostre nei quartieri di Treviso: “ … però dietro c'erano due anni di lavoro”, precisa subito. Quando è salito sul palco era molto commosso: “Non mi aspettavo di essere selezionato, quando ho visto i nomi degli altri selezionati poi... Non pensavo certo di vincere”. Magari sono parole che dicono tutti, ma in Pavan fanno trasparire una sincerità e una semplicità che possono maturare solo in certa gente, nata Drio el Sii, o magari lungo il Piave. Gente che sa guardare il mondo, le cose e gli uomini, come si guardavano un tempo e magari, volendo, si potrebbero guardare pure oggi. Quando ha aperto la busta, con l'assegno di cinque milioni (il premio) ero vicino e ho sentito la frase che si è lasciato sfuggire: “E adesso cosa ne faccio di questo?”. Poi silenzio, forse pensa alla macchina, mi sono detto, ad un viaggio, alla casa. Invece pensava ad altro: “Pubblico il libro... peccato che non bastino”. Camillo Pavan, mi sembra sia fatto proprio così. I mulini di Canizzano nel 1714 |
(*) Questi articoli sono apparsi sul numero di aprile 1986 di Sandonàdomani. Nel settembre dello stesso anno, Camillo Pavan mi spedì a casa il libro stampato, accompagnandolo con questa dedica: “A Mario Pettoello, per il bellissimo e indovinato ritratto che mi ha fatto nel suo giornale”.
Quando ai primi di ottobre del 2001, presentai per la prima volta il mio libro “La Città che conosco”, al Capannone dei Bersaglieri, durante la Fiera del Rosario, Camillo Pavan era in prima fila. Al termine dell’incontro mi strinse la mano e io gli regalai una copia del mio libro. | |
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NdC (21 ottobre 2014) - Non sono riuscito a recuperare le date dei testi di Toffolo e Pettoello, pubblicati nell'archivio di Sandonàdomani online. Sito web non più disponibile.
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