Ivo Prandin, considerazioni sul premio Costantino Pavan, prima edizione 1986 |
Il profondo significato del premio “Costantino Pavan” sulle culture locali
Nel nome di un ragazzo
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Il Gazzettino, Terza pagina, Lunedì 14 aprile 1986
«Barba, barba seveo storie?». Questa semplice domanda che affiora dalla narrativa orale della nostra tradizione, può diventare il punto di partenza — simbolico, magari — di ogni ricerca delle cosiddette “radici” che poi sono il legame, il collegamento fra noi e i nostri avi, fra il presente instabile e il grande serbatoio del passato.
La domanda è stata tenuta presente dal Premio nazionale dei giovani Costantino Pavan, assegnato sabato a San Donà di Piave, una manifestazione nuova e di singolare natura: è un modo di interrogare il passato, di intervistare la storia “piccola”, perché scruta nelle culture locali che sono l’humus dove quelle famose “radici” bene o male sono immerse.
I giovani, in questo premio, sono coinvolti doppiamente: come possibili autori e come giudici: trenta studenti di San Donà di Piave hanno già cominciato a fare le proprie scelte. Su tre opere selezionate (ne erano pervenute settantadue da tutt’Italia, dalla Calabria alla Slavia veneta, dal Piemonte all’Emilia Romagna) hanno preferitoDio el Sil, un libro inedito che racconta i giorni e le stagioni lontane e vicini a Sant’Angelo e Canizzano (Treviso) incluso il lavoro nei vecchi mulini di Mure.
L’autore, Camillo Pavan, un ex insegnante ora tutto impegnato nella vita a contatto di terra e di acqua, è legatissimo all’ambiente dov’è nato e dove sembra ora inseguire le tracce di umanità dei suoi genitori e della loro generazione, fantasmi culturali viene da dire (e vale per tanti di noi, forse per tutti).
Gli studenti di San Donà, che vivono il fiume, e ne erediteranno il valore, — che per loro sarà impegno anche civile — hanno probabilmente sentito nelle storie di vita dell’ex insegnante fattosi cronista di sentimenti e di speranze una affinità, un collegamento; il fiume lega e scioglie, nutre e rallegra, è una realtà con cui devi misurarti… In ogni caso, hanno premiato — cioè scelto anzitutto per sé — un modo di vivere, di resistere, di essere uomini.
Anzi, per dirla con Ulderico Bernardi, che ha presieduto la commissione “tecnica” del premio, hanno scoperto nelle pagine di Drio el Sil quella perenne «straordinaria capacità di resistere e di inventare ogni giorno la vita» sulle rive del fiume.
Gli altri finalisti erano Piercarlo Jorio con il libro Il magico, il divino, il favoloso nella religiosità alpina (edito da Priuli & Verluca), che può considerarsi come un viaggio verso i confini della realtà quotidiana verso la “sfera metafisica” ed è punteggiato di notizie e situazioni curiose; e poi l’opera collettiva Bolzano Vicentinoa cura di Claudio Povolo: notevole il fatto che sia stato il Comune vicentino a farsene editore facendone pervenire sessanta copie ai concittadini emigrati.
C’era anche una studentessa fra i partecipanti, Morena Pegorer che ha intitolato il suo lavoro La parola e l’animo (inedito): è stata segnalata insieme al libro Sloveni ed emigrazione di Ferruccio Clavora e Riccardo Ruttar, un documento sulle valli del Natisone.
Questo premio, a cui c’è da augurare lunga vita, è un caso a sé stante nell’affollato panorama culturale italiano: esso è nato in una famiglia da cui un figlio, quel Costantino a cui è intitolato, è stato rubato da un morbo invincibile.
Lo hanno voluto, questo premio, Gianni e Mariarosa Pavan, lo hanno impastato del loro dolore ma anche della loro speranza. Ed è un dono a tutti i giovani e a tutti noi.
Ivo Prandin |
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