lunedì 20 ottobre 2014

Ulderico Bernardi, 1985 - Presentazione di "Drio el Sil", di Camillo Pavan

Lettera presentazione alla prima edizione, 150 copie ciclostilate dal Comune di Treviso,
presentata a cura della Circoscrizione n. 8 S. Angelo - Canizzano il 1° maggio 1985

(…) Ora che ho potuto leggere il testo devo dirle che l’ho trovato ricco e in alcune sue parti di viva suggestione. Per me, abituato a pensare in termini di vita comunitaria dei contadini, questa cultura del fiume con i suoi personaggi legati alle stagioni dell’acqua, alle canne palustri e alle erbe sommerse, alle ruote e alle macine del mulino, alla barca piatta e spuntata, è apparsa una quinta indispensabile per disegnare lo scenario complessivo delle culture rurali.
Lei, molto giustamente, muove da un’indagine storica che si avvia dalle carte vetuste e quasi illeggibili della parrocchia, coi suoi registri dei battezzati e dei morti. E sta bene: ne viene l’immagine di una comunità dove sono pochi gli agiati possidenti che si meritano due righe in più nella stringata prosa del pievano seicentesco, e i molti sono invece gli avi ignoti delle generazioni contemporanee, spesso inconsce delle fatiche e degli stenti di quegli uomini e quelle donne con cui il destino e la storia sono stati sempre avari. Le lunghe file di nomi, di cognomi e di soprannomi familiari che lei raccoglie, sono il copione della recita quotidiana di tante vite consegnate alla memoria del colmello, infine restituite dal suo libro alla dignità di attori di una storia locale minuta e diffusa come la nebbiolina sul fiume: la gran via dove scorrono gli anni, da quelle antiche fami, pesti e dominazioni, al benessere attuale delle case nuove e dei mestieri moderni.
Come può immaginare, tuttavia, per il mio mestiere la parte che ho apprezzato di più, perché originale e generosa di stimoli per il ricercatore, è quella dove sono raccolte le “storie di vita” dei testimoni attuali. I loro racconti sono un patrimonio orale di gran pregio.
E poi trovo di notevole valenza metodologica tutta la minuziosa descrizione delle tecniche e dei materiali usati nei mestieri. Ne viene, tra l’altro, una descrizione dell’ambiente da cui si cavano le risorse “radicali” per la produzione: i roveri, i larici e i frassini per la ruota del mulino, i salici per l’asta destinata a spingere la barca (…) sono notazioni preziose per una storia della cultura materiale e della sapienza analfabeta di secoli.
Ma tutto sarebbe incomprensibile senza i collegamenti con quella dimensione invisibile che si affaccia dietro alle spiegazioni tecniche dei protagonisti: il “piacere” che Ménego Caìvo prova davanti alla bellezza delle albe sul Sile, solitarie; la fede con cui Pina Pinarèa dona un poca della sua luce al vecchio capitello di borgata, nella memoria delle sue mani spellate dalle lìssie di un tempo; l’amore per i luoghi che si manifesta nella descrizione del palù falciato da Gènio Condóta.
Lei si muove in questo terreno vago della storia orale con la destrezza di chi conosce i pericoli del pantano arcadico, e pure evidenziando il degrado sconcio ed ingordo di quello che fu un fiume da bere (…) non si lascia sprofondare nel torbido dell’esaltazione strumentale di un tempo andato crudo e dolente (…)
     

Nessun commento:

Posta un commento