Il poeta e scrittore Sandro
Zanotto (1932 - 1996) recensì molto positivamente il volume Sile: alla scoperta del fiume nel numero di giugno
1989 della rivista Cronache Trevigiane.
In precedenza mi aveva scritto una lettera oserei dire entusiastica sul mio lavoro, nella quale non mancava però di segnalarmi con garbo la presenza di sviste e soprattutto il suo dissenso nei confronti della grafia usata per scrivere i testi in veneto.
Riporto lo scambio di lettere, che terminavano con reciproca promessa di incontrarci una sera per discutere sulle questioni sollevate. Promessa da me non mantenuta, tutto preso com'ero dagli impegni di vendita diretta del libro.
Le lettere mi sono capitate sotto mano in questi giorni, in uno dei periodici tentativi di mettere ordine fra le vecchie carte. Ne avevo un vago ricordo, ma non mi era rimasto impresso che contenessero anche delle acute osservazioni sul dialetto in generale e sull'etimologia di un termine marinaro che avevo usato.
Osservazioni che stanno a dimostrare la sua profonda e non ostentata cultura.
Ho voluto approfondire meglio la conoscenza di Zanotto, che avevo incontrato di persona una sola volta nel 1988 in barca con Glauco Stefanato, (e del quale confesso di non aver letto - ancora - nulla). Ho trovato in rete due autori che ne parlano e a cui rimando:
- La studiosa e scrittrice padovana residente in Canada Elettra Bedon che lo inserisce nel suo corposo saggio Il filo d'Arianna (capitolo 9), riprendendo e ampliando l'analisi dopo la morte del poeta in L'angelo sulla terrazza. Excursus sulla poesia in dialetto veneto di S. Zanotto.
- Il pittore rodigino Luciano Scarpante sul n. 47 della rivista Ventaglio.
Entrambi gli autori mettono in risalto lo spessore della personalità artistica di Sandro Zanotto.
Per Bedon, «Zanotto - saggista, romanziere, critico d’arte, oltre che poeta - [...] ha ripreso il veneto come Mistral a suo tempo aveva ripreso il provenzale [...], come - per usare una sua espressione - gli umanisti avevano ripreso il latino».
Scarpante ricorda come «La critica lo ha definito in vari modi: poeta, narratore, critico d’arte, saggista, studioso di tradizioni locali e della cultura popolare veneta. Egli preferiva essere considerato solo un uomo curioso di tutto [...]».
In precedenza mi aveva scritto una lettera oserei dire entusiastica sul mio lavoro, nella quale non mancava però di segnalarmi con garbo la presenza di sviste e soprattutto il suo dissenso nei confronti della grafia usata per scrivere i testi in veneto.
Riporto lo scambio di lettere, che terminavano con reciproca promessa di incontrarci una sera per discutere sulle questioni sollevate. Promessa da me non mantenuta, tutto preso com'ero dagli impegni di vendita diretta del libro.
Le lettere mi sono capitate sotto mano in questi giorni, in uno dei periodici tentativi di mettere ordine fra le vecchie carte. Ne avevo un vago ricordo, ma non mi era rimasto impresso che contenessero anche delle acute osservazioni sul dialetto in generale e sull'etimologia di un termine marinaro che avevo usato.
Osservazioni che stanno a dimostrare la sua profonda e non ostentata cultura.
Ho voluto approfondire meglio la conoscenza di Zanotto, che avevo incontrato di persona una sola volta nel 1988 in barca con Glauco Stefanato, (e del quale confesso di non aver letto - ancora - nulla). Ho trovato in rete due autori che ne parlano e a cui rimando:
- La studiosa e scrittrice padovana residente in Canada Elettra Bedon che lo inserisce nel suo corposo saggio Il filo d'Arianna (capitolo 9), riprendendo e ampliando l'analisi dopo la morte del poeta in L'angelo sulla terrazza. Excursus sulla poesia in dialetto veneto di S. Zanotto.
- Il pittore rodigino Luciano Scarpante sul n. 47 della rivista Ventaglio.
Entrambi gli autori mettono in risalto lo spessore della personalità artistica di Sandro Zanotto.
Per Bedon, «Zanotto - saggista, romanziere, critico d’arte, oltre che poeta - [...] ha ripreso il veneto come Mistral a suo tempo aveva ripreso il provenzale [...], come - per usare una sua espressione - gli umanisti avevano ripreso il latino».
Scarpante ricorda come «La critica lo ha definito in vari modi: poeta, narratore, critico d’arte, saggista, studioso di tradizioni locali e della cultura popolare veneta. Egli preferiva essere considerato solo un uomo curioso di tutto [...]».
Glauco Stefanato (a sinistra) e Sandro Zanotto (Foto di Camillo Pavan - 12 aprile 1988) |
1989: lettera manoscritta di Sandro Zanotto |
Treviso 2.5.89
Caro Pavan,
scusa se con tanto ritardo ti ringrazio del tuo “Sile”, che ho letto in
questi giorni.
Ti ringrazio così con maggior entusiasmo, perché è un
libro bellissimo, che emerge di gran lunga sopra i molti (anche buoni) che si
sono pubblicati in questo periodo. È la prima monografia completa,
informatissima, esauriente, realizzata “de visu”, del fiume di Treviso. Ora i
trevigiani non possono più addurre scuse nel piangere l’agonia del loro fiume
che essi stessi abbandonano e manomettono.
Un libro meraviglioso, la cui realizzazione è un titolo
di merito di cui puoi giustamente andar fiero.
Qualche piccola svista (che se vuoi ti segnalerò per
una prossima edizione) non incide in un’opera di questa mole. Solo un neo non
ti perdono, quello di aver scritto il veneto con grafia all'italiana, tanto che
diventa illeggibile per chi conosca Goldoni!
Seguendo la pronuncia italiana dovremmo, allo stesso
modo, per il francese scrivere Bordò e Parì, anziché Bordeaux e Paris.
Perdonami questo rilievo formale di un patito del
veneto, che non intacca minimamente la vera grande sostanza del libro, di cui
cercherò di scrivere facendogli la propaganda che merita.
Grazie ancora e un abbraccio.
Sandro Zanotto
P. S. Mi è molto spiaciuto […] non essere venuto alla
presentazione “fluviale” del tuo libro, ma purtroppo ero bloccato a terra.
Treviso, 7 maggio 1989
Caro Zanotto,
ti ringrazio per la
bellissima lettera, che mi è giunta
del tutto inattesa e di cui peraltro cercherò di fare buon uso. A meno che tu
non me lo proibisca, ho infatti intenzione di riprodurla e metterla
nell'espositore (con i manifesti e l'altro materiale pubblicitario) con cui
giro per le sagre e le feste lungo il Sile a vendere il libro e con cui mi
piazzerò anche in Calmaggiore al sabato e alla domenica, non appena mi giungerà
il permesso.
Le "sviste".
Ogni volta che apro il libro ne trovo qualcuna anch'io e ti dirò francamente
che, più che sviste, mi sembrano errori (od orrori). Le sto segnando, in attesa
di una ristampa che, secondo i miei calcoli, dovrebbe avvenire all'inizio del
1991. Comunque, senza attendere giorni tanto lontani, sarò ben lieto di rubarti
fin d'ora un po' di tempo per correggere gli errori di cui ti sei accorto.
A parziale giustificazione
di queste "sviste" voglio comunque ricordare che, dei due anni e
quattro mesi impiegati nella realizzazione del libro, solo il periodo dal 27
maggio 1988 al 15 febbraio 1989 è stato dedicato
alla sua stesura, comprensiva di contemporanea preimpaginazione e del costante
controllo dei dati e delle fonti orali ed archivistiche. Purtroppo l'unica
redazione che avevo alle spalle era mia moglie che, dopo le ore di scuola, il
doppio lavoro di casalinga, ecc. si è sobbarcata anche l'onere della correzione.
Malgrado il mio impegno ad essere il meno possibile un dilettante, è naturale che siano
sfuggiti degli errori. Il che tuttavia non significa che non sia giusto
evidenziarli e doveroso correggerli.
Il problema della
lingua. Sacrosanta la tua obiezione. Perché non ho seguito i classici veneti?
Perché a quanto ho capito, e sono tutt'altro che un dialettologo, c'è molto
fermento e molta confusione in materia.
Ho voluto seguire
Ulderico Bernardi e il suo "Abecedario dei villani", un'opera
fondamentale per la mia educazione di ricercatore autodidatta. (Bernardi usò
quella che tu chiami "grafia all'italiana" su consiglio e consulenza
di Manlio Cortellazzo, un'autorità in materia).
Ti confesso che a veder
scritto « 'sé» al posto di «xe» mi ha sempre lasciato molto perplesso, ma,
poiché i maestri che avevo davanti usavano questa forma, mi sono (a malincuore)
adeguato. Ora, tu insorgi citando Goldoni. Non mi resta che:
1) Leggere finalmente
Goldoni di cui, non ci crederai, ho solo vaghe reminiscenze scolastiche.
2) Aprire un breve
dibattito-riflessione sull'argomento, in apertura del libro (nella prossima
edizione), riportando il tuo intervento affiancato a quello che solleciterò al
prof. Cortellazzo o a qualche altro esperto. In base ai risultati che
emergeranno da questa discussione deciderò che strada seguire, anche nei
successivi lavori. Non ho certo nessun partito da difendere se non quello di
farmi capire dal lettore.
Per concludere. Nella
tua lettera non ti sei limitato a buttare giù le
solite quattro righe, tanto per farmi contento, ma hai saputo unire alle lodi
alcune critiche, di cui è chiaro il carattere costruttivo, e che stanno a
dimostrare il tuo interesse per il mio lavoro.
E di questo ti sono
particolarmente grato; anche perché l'apprezzamento viene da una persona che ha
sempre amato i fiumi, la loro storia e la loro vita.
Con riconoscenza, ti
saluto.
Camillo Pavan
P.S. Quando accennavo
di rubarti un po' di tempo per correggere gli svarioni più grossi, non si
trattava di un modo di dire…
Altra lettera di Sandro Zanotto a Pavan |
Treviso 10.5.89
Caro Pavan,
puoi senz’altro fare della mia lettera l’uso che vuoi, se credi che
possa servire al tuo libro.
Mi piacerebbe che mi telefonassi (…) per vederci una
sera per parlare di qualche svista (non errori) da rivedere, oltre che della
grafia del veneto.
A questo proposito ho anch’io la massima stima di
Bernardi e Cortellazzo, però ricordo sempre un discorso che Manlio Dazzi mi
fece ai miei esordi, quando mi ponevo il tuo stesso problema. Forse mi parlò da
comunista militante, oltre che da intellettuale, quando mi spiegò come per
scrivere il veneto secondo la pronuncia bisognerebbe usare segni tipografici
particolari, anziché quelli italiani: oltre al k , occorrerebbe un segno indicante
la l mouillée
(non usare la e,
che è grafia italiana), segni dell’alfabeto slavo per i vari tipi di s, ecc.
Resterebbe in sospeso il ch che in italiano ha suono duro, mentre in veneto
è dolce, come in inglese.
Quando però si fosse fatto questo, ricalcando la grafia
sulla pronuncia, andrebbe perso l’etimo, che è la storia della lingua: come tu
ben sai, nelle civiltà contadine la
storia delle parole è spesso l’unica storia esistente.
Una prova di questo sta nel termine con cui definisci
il mozzo nell’equipaggio delle barche. Tu scrivi moré, seguendo la pronuncia con
grafia italiana, È giusto e tutti ti capiscono, ma è solo un nome. Se tu
l’avessi scritto morét,
salvavi anche la storia, cioè la sua derivazione dal moreto veneziano, il servitorello di
casa, diminutivo di moro, che indica il lavoratore adulto, bruciato
dal sole, termine divenuto anche appellativo cameratesco.
Mi dirai forse che faccio del populismo sottilizzando
su una questione solo grafica e che tu invece hai bisogno di farti capire dagli
alfabetizzati in italiano. È giusto forse, però nella tua difesa a oltranza di
un fiume civilissimo, vorrei vedere difesa anche la lingua dei rivieraschi,
anche se l’hanno dimenticata.
Scusami il rilievo.
Mi piacerebbe proprio passare una sera con te a
chiacchierare.
Arrivederci e ancora congratulazioni
Sandro Zanotto
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