venerdì 26 dicembre 2014

Il clero friulano e veneto durante l'invasione austro-tedesca del 1917 - (Ultimo anno della Grande Guerra/Prima guerra mondiale)

Ritirata di Caporetto, 1917
Dal libro IN FUGA DAI TEDESCHI

Il parroco di Fontane di Villorba al vescovo di Treviso 
[Mons. Andrea Giacinto Longhin] 


Fontane 13 Nov. 1917
Eccell. R.ma
     Con il cuore straziato La annunzio che la chiesa nuova fù requisita ad uso magazzino, che sarà d'essa...
     Sono quì con la mia povera sorella ripiena non di paura ma di terrore, giacché anche a Fontane si svolgerà il combattimento, già tutto è in pronto.
     I registri dell'Archivio ed ogni altra cosa della chiesa è tutto esposto alla rapina degli invasori (…) .
(Archivio Curia TV, b. 51, fasc. Fontane)


Ritirata di Caporetto, 1917
Inizio del capitolo dedicato al comportamento del clero
friulano e veneto nei giorni della ritirata di Caporetto e della
invasione austro-tedesca. (In fuga dai Tedeschi, pp. 138.39)
Arrivano gli invasori (Pag. 139)


«Dicono fenomeno inesplicabile: ma è castigo di Dio: torna in campo sotto altra forma l’angelo sterminatore (...)» 1.
Con questa citazione biblica il 30 ottobre 1917 mons. [Luigi] Pellizzo, friulano di Faedis e vescovo di Padova, descriveva in una lettera al papa il ciclone che da qualche giorno stava flagellando la sua terra e che stava per abbattersi sul resto del Friuli e del Veneto 2.
Mentre le autorità militari cercavano di salvare il salvabile e quelle politiche nazionali, superata la crisi di governo 3, faticavano a prendere coscienza della situazione, Pellizzo aveva ben chiaro cosa stesse succedendo, grazie alla capillare rete di parroci della sua vasta diocesi4, ai buoni rapporti con le alte sfere militari, alla sua provenienza geografica. Il quadro che ne traeva era a tinte fosche: gli italiani — in piena crisi — non si sarebbero fermati che sul Po (forse...), Brescia e Milano erano in pericolo 5.
“È il soffio della divina vendetta 6” per il comportamento dell’esercito italiano in genere e per quello degli ufficiali in particolare, che “converrebbe avessero meno mense, meno donne, meno odio ed avversione al prete”7.
La causa del disastro, dunque, per il vescovo patavino (e per il clero in genere) era chiara.
Ma come comportarsi, con gli invasori alle porte? Partire o restare?

Parola d'ordine: restare.

Tanto la classe politica locale, nel suo complesso, si volatilizzò, tanto il clero — pur con singoli casi di abbandono della propria sede, primo fra tutti il vescovo di Udine, [Antonio Anastasio] Rossi — restò fedele alla direttiva che dal Vaticano giungeva alla base; tremenda nella sua semplicità: rimanere al proprio posto. “... È volere dell’augusto pontefice che, anche nel caso di una invasione, tutti gli ecclesiastici, vescovi e sacerdoti, rimangano al loro posto, per compiere con la dovuta abnegazione il proprio dovere ed infondere agli altri la calma tanto necessaria in sì dolorose circostanze” 8.
Restare al proprio posto, assieme ai parrocchiani; perché se loro fossero stati costretti dagli eventi ad abbandonare il paese, anche il clero avrebbe dovuto seguirli nella “dura sorte”.
Parola d’ordine, peraltro, fatta propria dalla chiesa cattolica fin dall'inizio del conflitto. “È dovere di ogni sacerdote stare sempre accanto ai propri fedeli”, scriveva nel 1915 al clero il vescovo di Gorizia, [Francesco Borgia] Sedej, nell'imminenza dell’attacco italiano 9. [...]

segue

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