giovedì 3 maggio 2012

Navigare sul Po - Prologo ed epilogo

storia della nivigazione fluviale
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«Mi raccontava mio nonno Vittorio (1886 - 1964) che anche suo nonno era barcaiolo. All’epoca abitava proprio alle foci grandi del Po, a Tolle». 
Inizia così il racconto di Adriano Gnan, classe 1948, che dell’antica famiglia di barcari conosciuti come Trivèa, è l’ultimo erede 1.
Adriano, dopo una vita lavorativa trascorsa prima come barcaro sui tradizionali bùrci, poi come comandante delle moderne chiatte fluviali che navigano sul Po, è da poco in pensione. L’abbiamo conosciuto nel corso di una precedente ricerca sui “mestieri del fiume” 2 dedicata alla località di Casier. Ricerca patrocinata da Glauco Stefanato, operatore turistico con proprie imbarcazioni sul Sile e la laguna di Venezia e ultimo esponente di una famiglia di barcari originaria dal Livenza nel XVII secolo.
Po e Livenza, due fiumi lontani, ma parte entrambi di quel complesso reticolo di vie d’acqua interne che per secoli ha rappresentato la struttura portante delle attività economiche che dalla Lombardia, dall’Emilia e dal Friuli gravitavano su Venezia, la repubblica dominatrice dei traffici con l’Oriente.
Il periodo a cui risalgono le prime sfumate memorie della famiglia Gnan, inizio Ottocento, era ancora l’epoca d’oro della navigazione fluviale. Le grandi strade erano poche, maltenute, insicure. Le vie d’acqua invece, pur con la variabilità stagionale del livello dei fiumi (soprattutto del Po) rappresentavano di gran lunga le vie di comunicazione più sicure e sfruttate.
Il primo duro colpo alla navigazione interna fu inferto dall’avvento della ferrovia, a partire da metà Ottocento. Il colpo mortale arrivò un secolo più tardi con la scelta strategica del secondo dopoguerra di puntare sul trasporto su gomma. Da allora, nel breve volgere di un paio di decenni, scomparvero per sempre i tradizionali bùrci. Rimase, sia pure ridotta ad un ruolo sempre più marginale, la navigazione sul Po.
Di questi ultimi sessant’anni di storia della navigazione (e non solo) proponiamo uno spaccato sulla base delle testimonianze in prima persona del capitano Adriano Gnan e di sua madre Maria Toffolo.
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1 -  Adriano Gnan ha una sorella (Amalia, 1950) e un fratello (Diego, 1960) che, dopo aver frequentato l’istituto nautico a Venezia ha navigato per mari e oceani, prima di approdare anche lui sul Po. Vi è rimasto una decina d’anni, poi si è ritirato in terraferma. Attualmente è impiegato in una grossa ditta di ferramenta, a Motta di Livenza e coltiva l’hobby della montagna (è istruttore di roccia…).
Il figlio di Adriano (Andrea, 1976) è laureato e lavora in banca.
2 -  C. Pavan, "Sile. La piarda di Casier. Barcari, burci, draghe e squeri", 2005. L’espressione I mestieri del fiume è mutuata dal titolo di un libro curato da Pier Giovanni Zanetti, pubblicato da “Terra d’Este” nel 1998.


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Dopo quarant’anni sul Po, raggiunto il massimo della pensione, alle otto del mattino di sabato 20 marzo 2004, Adriano Gnan dice addio alla navigazione. Sei scarne parole nel suo taccuino, sotto il timbro del rimorchiatore Mantova registrano l’evento, senza nulla concedere a nostalgia, rimpianti o commozione. «Sbarcato (definitivamente) a Pontelagoscuro ore 08,00».
Una foto, scattata con una macchinetta di fortuna da un collega, fissa il momento dello sbarco. Adriano vi appare sereno, tranquillo. Sembra quasi un signore che passa di là per caso.
Ma colpisce quella parola tra parentesi: definitivamente. Non solo perché è la presa d’atto della fine di un percorso individuale di lavoro, ma perché ci ricorda che, con il comandante Adriano, dice addio al Po l’ultimo erede di una famiglia di barcari polesani (Gnan Trivèa) che da almeno duecento anni navigava sulle acque del Grande Fiume.
Quel 20 marzo 2004 una pagina di storia si chiudeva. Per sempre.


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