Giannantonio Paladini, Il Gazzettino - ediz. nazionale, 7 febbraio 1998. |
«Gli studi sulla Grande Guerra, almeno da trent'anni in qua, hanno voltato pagina. E, tuttavia, sarà senz'altro corroborante per lo spirito di coloro che sono refrattari a qualsiasi retorica, la lettura di questo libro di Camillo Pavan.
… Un libro composito, a più strati, sapientemente montato, fatto di testimonianze e di studi degli uni e degli altri, ma soprattutto degli sloveni perché (annota senza sorpresa l'autore, ma è un dato non sempre tenuto nel debito conto) il territorio di Caporetto e dell'alto Isonzo in cui si combatté la grande battaglia era compattamente abitato da sloveni. E sembra perfino una "bizzarria" che il fiume lungo il quale furono scatenate in tre anni le dodici battaglie che diedero luogo alla carneficina, per tre quarti si chiamasse Soča, e non Isonzo, come invece scrivevano nei bollettini di guerra sia gli italiani che gli austro-ungarici. La stessa "rotta di Caporetto" per gli austro-tedeschi "miracolo di Karfreit", ha un nome di luogo sloveno, perché Caporetto era Kobarid come Plezzo (Flitsch in tedesco) era Bovec.
L'osservazione di Pavan, posta in una piccola Nota toponomastica per giustificare le soluzioni adottate, contiene a ben vedere più di una chiave del libro: che è, come abbiamo detto, pieno zeppo di cose straordinarie, quasi cinquecento pagine, di splendide fotografie, di innumerevoli passi di bollettini e di opere storiche, di diari, di articoli di giornali nemici a confronto, di notizie preziose sui musei e sugli ossari, di indicazioni per visitare i campi di battaglia.... Ma forse le pagini più rilevanti sono quelle relative alle popolazioni in fuga, prima da una, e poi, dopo Caporetto, dall'altra parte, e ai profughi e ai campi. «Novecento, in secolo di profughi», scrive Pavan. È proprio così». [...]
Sintesi dell'articolo pubblicato su Il Gazzettino il 17 febbraio 1998
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