lunedì 15 aprile 2013

Un ricordo di Gino (Luigi) Tarantola, libraio di Treviso

Nei giorni scorsi, sfogliando internet, sono venuto a conoscenza della morte di Gino Tarantola, libraio, come orgogliosamente riportato nella necrologia.
La sua figura ha segnato un momento importante della mia vita. 
Nei primi anni Sessanta, appena uscito dal seminario, finite le medie, solo, sbandato, senza amici e men che meno amiche, la scoperta della Loggia di Tarantola, con il suo muro tappezzato da libri antichi e i suoi banconi ricolmi in parte di vecchie mappe e di libri di un certo valore e in parte di libri semplicemente usati rappresentò per me che venivo dai campi la scoperta della città. Sotto quella Loggia ho trascorso lunghe ore, affascinato da tutto quel ben di Dio. 

Gino Tarantola (con il berretto rosso) e i suoi libri
sotto la Loggia dei Cavalieri a Treviso. (Cartolina ca. 1970, ed. A. Zago)

Appoggiata la bici al muretto esterno, mi avvicinavo ai banchi intimorito, ma anche rassicurato, dalla burbera e paterna figura del sior Gino. Mi aggiravo fra le pile di libri leggendo pagine su pagine prima di decidermi a comprare quello che le mie tasche perennemente vuote mi permettevano. Erano gli anni dei grandi classici della Bur, libriccini 10x15 in brossura e carta da due soldi: volume singolo - nuovo - lire 50, doppio lire 100 (così li ricordo e può darsi che sbagli, perché ora non ne trovo neanche una copia che pure so di aver salvato: sommersi da altri. Forse saranno finiti in soffitta dove non oso avventurarmi).
Ma mi coinvolgevano pure i Gialli Mondadori che per la mia educazione sessuofobica erano avvolti da un'aura di proibito e peccaminoso.
Feci in tempo a comprare, sempre usati s'intende, anche i primi Oscar Mondadori: autori contemporanei, copertina a colori, ben altro aspetto.
Il bello di Tarantola era che, oltre a vendere i libri usati con il 50% di sconto sul prezzo di copertina, li ricomprava al 25%. 
Compravo, leggevo e rivendevo. La spesa era relativamente poca. Le divagazioni concesse al mio animo smarrito e sognante erano immense, come e meglio del cinema, altro luogo in cui rifugiavo spesso la mia solitudine, ma che aveva il difetto di essere molto più costoso e di consumarsi molto più in fretta. (Dimenticavo: in casa non c'era la televisione; per fortuna, posso ben dirlo).
Per aumentare il potere d'acquisto avevo escogitato un metodo ad hoc. Durante alcune escursioni in bici m'ero accorto che in un prato verso la fine della strada Ovest venivano scaricati con una certa frequenza rottami di vetro dai quali emergevano bottiglie di spumante vuote, ma ancora intatte. 
Con il carrettino da bicicletta di famiglia - usato per andare in piassa a vendere la verdura - mi recavo di tanto in tanto a raccogliere le bottiglie migliori e le portavo da Mario Rossi, quello dei vini, che le comprava per una cifra discreta.
Soldi che investivo da Tarantola.
Fu una stagione breve e intensa. Peccato che, malgrado (o forse a causa di) tante letture, l'esito scolastico fosse pessimo. Gli annali dell'istituto magistrale Duca degli Abruzzi mi annoverano senz'altro fra gli allievi peggiori.
Ma fu un approccio alla "cultura del libro" che segnò indelebilmente la mia attività da adulto, e di cui sono grato al vecchio Tarantola, con la sua capacità di resistere ai venti che soffiavano da ogni lato sotto l'aristocratica Loggia, con il suo berretto di feltro, con i suoi baffi da cospiratore. 

Nessun commento:

Posta un commento