di Monica Marcon
Inserire un capitolo sui capitelli in una ricerca che abbia come oggetto il fiume Sile, può sembrare per lo meno insolito.
I pochi capitelli rimasti, e non solo quelli posti lungo il corso del Sile, passano inosservati, sotto lo sguardo indifferente di chiunque, quando addirittura non sono sentiti come uno scomodo intralcio.
In realtà, capitelli, edicole, alberi sacri, rappresentano per il paesaggio rurale veneto, un qualcosa di veramente unico e caratterizzante.
Essi sono il simbolo di una religiosità a carattere prettamente popolare, le cui componenti essenziali sono una semplicità e una spontaneità nelle forme d’espressione, difficilmente imitabili.
Parlare di capitelli lungo il Sile significa scoprire il legame inscindibile esistente fra la vita dell’uomo e i fenomeni legati alla natura.
In un’epoca non troppo lontana nel tempo, l’economia nel Trevigiano era di carattere prevalentemente rurale ed i fenomeni naturali collegati al ritmo delle stagioni, giocavano un ruolo importantissimo: da essi dipendeva la vita tutta dell’uomo, non solo il suo benessere, ma anche e soprattutto il suo sostentamento.
E’ su questo particolare legame tra uomo e natura che vanno ricercati l’origine e il significato della diffusione dei capitelli.
Secondo una concezione tipicamente “primitiva”, la divinità si identifica con le forze della natura, oppure, ma questo in uno stadio più avanzato, si esprime attraverso di esse.
Sulla base di questa identificazione del sacro con il reale, la costruzione di capitelli e alberi sacri, assolve la tipica funzione di protezione del territorio e delle persone, serve ad attirare la benevolenza delle divinità.
Se poi le forze della natura non si esprimono proprio benignamente, in esse non si può che scorgere la manifestazione di creature demoniache, ed in questo caso il capitello serve come magico scongiuro, a tener lontane le disgrazie.
La dislocazione di simboli e costruzioni sacre in zone rurali, o lungo il corso dei fiumi, non è casuale, anzi, ha proprio la funzione di allontanare le disgrazie più frequenti: grandinate, alluvioni, malattie.
L’idea non è nuova, nè tipica delle popolazioni rurali venete, essa si ripresenta in maniera costante in tutte quelle civiltà “primitive”, con fedi panteistiche naturali, ed è poi frequente anche nei culti pagani e precristiani.
Ne è la conferma il fatto che alcuni capitelli che sorgono lungo il Sile, oggetto della ricerca, sorgono addirittura su basamenti di antiche aree romane, quasi a voler sottolineare la continuità del culto, a dispetto della diversità delle religioni.
Il capitello del Pozzetto di S. Elena di Silea sorge su di un basamento romano. La straordinaria scoperta è stata fatta di recente, in sede di restauro del capitello: scavando attorno per una profondità di soli 30 cm., venne alla luce uno strato di pietre antiche di colore completamente diverso rispetto a quelle sovrastanti. Alcuni esperti riconobbero con certezza l’origine romana del basamento e, anche se la scoperta non fu avvalorata da perizie tecniche, l’ipotesi non è inverosimile, il capitello sorge infatti su un’importante via di comunicazione dell’impero romano: la Claudia Augusta.
Ma anche quando il capitello sorge come tipica espressione di culto cristiano, trattasi pur sempre di un culto molto particolare; non è quello aulico, solenne delle cerimonie di Chiesa, è, come dicevo, l’espressione di una fede di tipo particolare, molto simile a quella pagana, che ha bisogno di luoghi di culto molto semplici, di modeste dimensioni, che siano vicini e si rendano visibili al credente, e che, paradossalmente, rendano visibili alla divinità, il luogo e le persone da proteggere.
Si tratta di una forma di religiosità tipicamente pagana, portata ad identificare il sacro con il reale, che però la chiesa ufficiale non ha mai ostacolato, anzi, proprio essa ha favorito il diffondersi di questo tipo di devozione, rendendosi conto di quanto radicata e fondamentalmente sincera essa fosse.
Attorno ai capitelli sorsero e si incrementarono degli specifici atti di culto religioso cristiano: le processioni, le rogazioni, i rosari.
In occasione di alcune ricorrenze e festività religiose (Corpus Domini, Ascensione, Venerdì Santo, ecc.), la processione era un appuntamento d’obbligo, un rito solenne al quale si partecipava con estrema devozione; lunghi cortei partivano dalla chiesa portando il simbolo religioso per le vie del paese. Molti anziani ricordano come i capitelli fungessero da stazioni durante le processioni: il corteo si arrestava e il sacerdote pronunciava particolari invocazioni. Per l’occasione il capitello generalmente veniva addobbato di fiori ed illuminato.
Oggi a causa dell’intensità del traffico stradale, le processioni non si fanno quasi più, o, se mantenute, vengono effettuate in un percorso quasi simbolico di poche centinaia di metri. I capitelli sono così stati privati di una loro importante prerogativa.
Ma gli atti di culto che più direttamente coinvolgevano i capitelli, erano le rogazioni: particolari riti penitenziali che servivano per invocare la benedizione per la fecondità dei campi 1.
Le rogazioni si facevano nel periodo primaverile e consistevano in lunghe processioni che, partendo dalla chiesa, raggiungevano i confini del paese, inoltrandosi in aperta campagna. Per l’occasione, lungo il percorso, dove non c’erano capitelli, venivano collocati provvisoriamente, altarini, piccole croci ed immagini sacre. Qui il corteo si arrestava e ...
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1 Emanuele Bellò, 1980, Le tradizioni popolari, in Treviso Nostra, pp. 112-114; Eugenio Manzato, 1981, Religiosità all’aria aperta, in La religiosità popolare nel Trevigiano, p. 17.
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Due testi indispensabili per lo studio dei capitelli sono:
- Gisla Franceschetto, I capitelli di Cittadella e Camposampiero, Indagine sul sacro nell’Alto Padovano, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1972.
- AA.VV., I “capitelli” e la società religiosa veneta, Atti del convegno tenutosi a Vicenza dal 17 al 19 marzo 1978, Vicenza, Istituto per le ricerche di storia sociale e di storia religiosa, 1979. (Contiene, fra gli altri, due saggi di Agostino Contò ed Eugenio Manzato sui capitelli trevigiani).
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© 1989, da libro Sile. Alla scoperta del fiume di Camillo Pavan
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