Giannantonio Paladini, Il Gazzettino - ediz. nazionale, 24 agosto 2001 |
I prigionieri italiani dopo Caporetto (C. Pavan 2001), recensione del prof. G. Antonio Paladini
La drammatica odissea dei prigionieri dopo Caporetto
Per una settantina d'anni, né le molte opere di documentazione ufficiale sulla Grande guerra, né gli studi, spesso assai critici e vivaci nel denunciare errori del conflitto italiano, sottolinearono a dovere o ripresero in forma esplicita l'enormità, quantitativa e qualitativa, del fenomeno dei prigionieri di guerra italiani e della loro sorte nei campi distribuiti in Germania e nell'Austria-Ungheria, dal Baltico al Mar Nero. Eppure la cifra dei prigionieri morti, centomila circa, era indicata nella voluminosa relazione del 1920 della Commissione d'inchiesta sulle violazioni dei diritti delle genti commesse dal nemico. S'è parlato, per questa sottovalutazione di fatti di grande rilievo e per il loro complesso retroscena, di una specie di "cancellazione della prigionia dalla memoria della guerra italiana".
Si dovette aspettare il volume di Giovanna Procacci, Soldati e prigionieri della grande guerra, che è del 1993, perché il tema venisse ripreso, gli elementi fattuali fossero ricostruiti con precisione e risultasse chiaro come ci fosse un che di abnorme, di sproporzionato tra i cento-centoventimila morti e l'insieme dei seicentomila prigionieri italiani dell'intero conflitto. La causa di tale enormità fu fatta dipendere, con inequivocabili riferimenti documentari, alla scelta che fecero Comando Supremo (Cadorna e Diaz) e governo (Sidney Sonnino in testa), quella di lasciar morire decine di migliaia di prigionieri loro connazionali in prigionia, rifiutando la proposta degli austriaci di organizzare in grande, con treni di rifornimenti, il sostentamento dei propri sciagurati soldati ed ufficiali (così fecero i francesi, che contennero dentro i ventimila i morti in prigionia su un universo che era anch'esso di seicentomila). Lo scopo della decisione dei vertici militari e politici italiani fu immediatamente chiaro: scoraggiare le diserzioni, e il mezzo fu presentare la prigionia come qualcosa di poco onorevole, da passare sotto silenzio, da rimuovere. Una scelta agghiacciante, per la quale gli storici non hanno trovato alcuna giustificazione, il punto più basso raggiunto dall'azione di chi comandava milioni di uomini in armi e una nazione sottoposta ad uno sforzo senza precedenti.
Al tragico destino dei prigionieri italiani, in particolare di quelli catturati dopo Caporetto (e furono quasi trecentomila), "sospinti come mandrie" dal Friuli verso l'interno degli Imperi centrali, ha dedicato di recente il suo I prigionieri italiani dopo Caporetto (Camillo Pavan , 2001), libro che costituisce un tassello del trittico del Pavan stesso avviato nel 1997 con il volume Grande guerra e popolazione civile sull'ultimo anno del conflitto, quello più drammatico, con l'occupazione del nostro territorio orientale, fino al Piave, al Grappa e agli Altipiani.
Per la stesura di questo importante capitolo di storia nazionale a lungo, come s'è detto, bellamente ignorato, Pavan si è servito di numerosi racconti autobiografici, introducendo così, in presa diretta, il lettore di tre generazioni dopo nell'evento della prigionia dei militari italiani tra 1917 e 1918. Sono pagine, queste di Pavan , di immediata suggestione, per la semplice, ma abile disposizione del materiale documentario, in genere di prima mano, per l'inclinazione schietta a cogliere l'umanità delle esperienze narrate, per la completezza della descrizione dell'accaduto, dalla marcia verso la prigionia alle condizioni di vita, rappresentate con realismo, per il corredo di fotografie e tabelle particolarmente efficaci per dare un'idea precisa dei fatti.
Integra la parte del libro scritta da Pavan , l'elenco dei quattrocentosettanta campi di prigionia sparsi nel vasto territorio degli imperi tedesco e austro-ungarico "dove furono rinchiusi in condizioni inumane e colpevolmente dimenticati dalla madrepatria centinaia di migliaia di soldati italiani durante la "Grande guerra". L'elenco, alfabetico, è frutto del lavoro paziente di Alberto Burato, che da anni sta svolgendo una ricerca per individuare tutti i militari della natale Guardia Veneta, in provincia di Rovigo, morti nel conflitto. Arricchisce, infine, il volume una carta di gran parte dei campi di prigionia della Grande guerra europea, disegnata da Matteo, Michele e Paolo Pasello.
Con il libro di Pavan , che fa agire direttamente gli attori della tragedia, la storiografia sulla Grande guerra si rivela, così, fonte tuttora preziosa, diremmo persino inesauribile, per la conoscenza di una società, e del rapporto tra dominanti e dominati, all'alba del Novecento.
Giannantonio Paladini
Il Gazzettino, Edizione nazionale, martedì 14 agosto 1991
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